E’ un Pier Luigi Bersani a ruota libera ed a tutto campo, quello che vedremo stasera alla trasmissione di Rai3, Ballarò. Intervistato dal neo conduttore, Massimo Giannini, l’ex segretario del Partito Democratico commenta la situazione politica attuale, non lasciandosi sfuggire l’occasione di criticare alcune scelte del premier/segretario, Matteo Renzi.
Anzitutto, Bersani critica l’dea di partito che Renzi ha imposto da quando siede al Nazareno. E’ noto, tutta l’area post comunista e di sinistra del partito (D’Alema, Cuperlo e via dicendo) ha ferocemente criticato il partito ‘liquido’, come lo definiscono. Non per ricostruire un partito pesante con oltre un milione di iscritti, ma per costituire “prima di tutto – afferma Bersani – un collettivo politico che sopravvive al suo leader e che deve avere un asse culturale e politico. Io sono affezionato a un’idea di sinistra che forse non è quella che ha Matteo Renzi, quella della sinistra delle opportunità. La sinistra delle opportunità è una roba da anni Ottanta che, si è visto, è stata un abbellimento della destra. Per me la parola chiave è uguaglianza”.
PARTITO DELLA NAZIONE – Bersani non è concettualmente contrario, è ovvio. Tuttavia pone i paletti sui ‘nuovi acquisti’: “Purché non ci siano Berlusconi e Verdini”. Niente catch all party, quindi (il partito ‘pigliatutto’, ndr). Perché il centro risulterebbe essere troppo eterogeneo, mentre si spedirebbero ai lati estremi delle frange escluse dal potere che, nel tempo, potrebbero divenire difficili da gestire, quindi radicali. “Due cose inservibili – spiega Bersani – per il cambiamento e per le riforme. La vocazione maggioritaria vuol dire che tu ragioni ‘come se fosse’. Devi avere certamente una vocazione nazionale che, quindi, si carica di un equilibrio da mantenere nel Paese, ma non vuol dire aver da soli il 51 per cento. Non è una cosa da escludere in democrazia”.
E’ tempo di rivendicazioni, per Bersani: “Questo è il mio governo”, basandosi su quel 25% che l’ex Ministro dell’Industria prese alle elezioni politiche di febbraio 2013. E così come chiede rispetto per quei milioni di persone che lo hanno votato, ritiene sia giusto dargli riconoscimento anche per il partito che ad aprile 2013 ha lasciato da segretario: “fino a quando resisto nel Pd? Questo è il mio partito. Se qualcuno mai pensa che debba essere esaurita la sinistra, si ricordi che la sinistra esiste in natura e finché c’è un sentimento di uguale dignità di tutte le persone, la sinistra esiste. Io penso che il luogo in cui far fruttare questo ideale sia il Pd, se qualcuno pensa che mai questo ideale debba essere espulso o riciclato in slogan di 30 anni fa allora andiamo sul duro, ma certamente nel Pd e dentro il Pd”.
Bersani parla del Paese – E’ tempo di osservare le iniziative governative: “bisogna rivedere l’impianto Iva e Irpef. Ci sono le proposte, così si batte l’evasione fiscale. Un po’ di liberalizzazioni di politica industriale. Ultimamente tornano in auge i concessionari, gli ordini professionali, le deroghe alle leggi sugli appalti, io li guardo con una certa preoccupazione”. E se si dimostra a favore della fiducia sul Jobs Act, l’ex segretario Pd non è favorevole alla spending review sulla sanità: questi problemi non si risolvono “dall’oggi al domani con un taglio lineare”. E se sulle Regioni attacca il premier perché quando Renzi dice ’paghino le Regioni e non i cittadini’ si fa della demagogia, dall’altra parte si schiera con Renzi quando afferma di non appoggiare la manifestazione imminente della Cgil. Del resto, conclude Bersani: “Abbiamo perso 25 punti di produzione industriale, 19 punti di capacità produttiva, c’è crisi aziendale ovunque”. Dall’intervista si può trarre la conclusione come ce ne sia anche all’intero del Pd.