Quella delle nomine dei nuovi manager delle aziende statali partecipate rischia di passare nella storia della politica recente italiana come il giorno di definitiva arresa della sinistra italiana, da tempo ormai in estinzione, e di conseguenza il trionfo della lobby industriale che da sempre influenza pesantemente la politica italiana, tra incursioni indirette e partecipazioni dirette. Ma l’Italia è il paese che si scandalizza e concentra la sua attenzione sempre in modo distorto, fissandosi con sconcerto sulla condanna a Berlusconi e trascurando quella di soli venti anni al folle che a Milano uccise a picconate tre passanti per caso. Così la nomina di firma renziana rischia con il passare tra lustri, complimenti, schede di carriere gloriose, come premio e conseguenza ovvia di capacità manageriali già ampiamente espresse. Così i perchè le scelte siano ricadute su questi nuovi manager, di che affari si occupino e soprattutto con quali lobbies lavorino non ci è dato sapere.
Le nomine si sono sdoppiate tra gattopardismi in nome del tutto cambi affinchè nulla cambi (De Gennaro e il tanto contestato Moretti sono cavalli di ritorno permanenti, in particolare Moretti, balzato agli onori di cronaca per la minaccia al taglio di stipendio da super manager di Ferrovie, e mantenuto tra i manager pubblici seppur spostato in Finmeccanica), e della spudorata volontà di mantenere i miliardi in mano ai miliardari. In questo senso un governo con a capo un leader che dovrebbe essere eletto con i voti di un elettorato di centrosinistra non dovrebbe digerire queste nomine con naturalezza, in nome di altri criteri quali meritocrazia e assenza di conflitto di interesse ad esempio, per cui l’avvento di questi nuovi manager coincide così con la fine della sinistra italiana.
Cominciamo proprio da Moretti. Oggi è rappresentante di giganteschi gruppi di lobbies europei ( European Management Committee dell’UIC ,Union Internationale des Chemins de Fer, da dicembre 2013, vice Presidente UIC ,Union Internationale des Chemins de Fer, da marzo 2009, membro Executive Board dell’UIC da marzo 2009, co-Chairman ltalian Egyptian Business Council da settembre 2012), ma la sua carriera inizia addirittura in Cgil, il sindacato rosso per eccellenza. Una carriera che lo porta nel 1986 a divenire segretario nazionale della Cgil Trasporti. Dal sindacato a miliardario che contesta pubblicamente una possibile riduzione di stipendio (850 mila euro l’anno) dei manager pubblici e riceve in cambio una nuova nomina. Moretti prima la Camusso oggi, una Cgil ormai trampolino di lancio per politici con lo sfondo del dramma dei lavoratori divorati dalla disoccupazione, un sindacato che ha incarnato bene la crisi della sinistra italiana.
Se Moretti rappresenta l’allarme, la Marcegaglia è la sconfitta finale, la fine della sinistra, se mai fosse mai nata, all’interno del partito democratico. Prima fu la Guidi a scatenare il problema, oggi la Marcegaglia lo conferma pienamente. La sua nomina a capo dell’azienda partecipata più importante (e non solo in termini di fatturato), rappresenta la fine, con vittoria ovviamente, della campagna di conquista della politica italiana da parte dei confederati industriali, vittoriosi nella nomina a ministro della Guidi, e trionfatori con quella della Marcegaglia. La quota rosa è l’immagine rivenduta e sbandierata dai media, immagine che è vera e propria maschera buona solo per addolcire le due nomine e svariare l’attenzione da ingombranti temi come quello del conflitto di interesse. Ma questa dell’immagine curata, impacchettata e infiocchettata con meticolosità è un tratto distintivo del governo Renzi per tutte le occasioni.
Una sinistra privata di ogni influenza decisionale nel partito democratico, che si esprime con un leader carismatico giovane figlio del centrismo italiano, quello che dalle ceneri della Dc studia da futuro grande capo di una coalizione di centro, dove probabilmente non ci sarà più spazio nemmeno nel nome per la sinistra. Ebbene fino a quando chi si dichiara esponente di sinistra e di movimenti a essa legati, non avrà il coraggio di fuoriuscire definitivamente dall’idea di coalizione, tralasciando interessi politici di elezioni e poltrone, non avremo più una sinistra italiana degna di chiamarsi con tale nome. In Italia oggi la sinistra è è stata uccisa, e le nomine di chiaro intento e fine industriale ne sono la prova schiacciante. Chi sia il colpevole, o meglio i colpevoli non è noto saperlo, almeno a livello ufficiale.
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