Il “mostro” che genera incubi in Occidente non è invincibile. Ma per trovare il tallone d’Achille dell’Isis servono lucidità d’analisi e una strategia collettiva. Questa è la pista indicata da diversi esperti e ricercatori di think tank ed università, che da anni studiano le evoluzioni del fondamentalismo islamico in Medio Oriente. Vie di fuga “intelligenti” rispetto all’autoproclamato Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi.
“L’Isis è diventato il paradigma di un mostro invincibile ma non è così. Un punto debole ce l’hanno tutte le formazioni terroristiche, compresa questa” spiega Clara Capelli, ricercatrice di economia dello sviluppo all’Università di Pavia e già docente di macroeconomia in Libano.
“Sono molto vulnerabili perché dipendono da fonti di reddito esterne”, spiega. Non hanno produzioni loro se non il petrolio, che però sono costretti a rivendere sul mercato nero tramite intermediari. L’obiettivo del califfato nel breve periodo “è fare cassa” e il loro canale è il sommerso.
La chiave economica pare efficace in funzione anti-Isis perché è proprio la stessa leva su cui punta l’organizzazione terroristica nell’espansione territoriale in Iraq e in Siria. “Armare il nemico del tuo nemico non è una strategia che tiene”, secondo la Capelli. Sbarrare l’accesso alle risorse è invece una via da percorrere.
Difficile quantificare le entrate economiche dell’Isis ma è anche vero che “ci sono degli intermediari che fanno da tramite tra i miliziani e i loro acquirenti sul mercato nero” dice ancora Clara Capelli: “Il califfato è in una fase in cui ha bisogno di fare soldi e dunque di vendere quello che razzia e il petrolio di cui dispone. Gli acquirenti delle materie prime e del petrolio sono Turchia, Libano, Siria. Il contesto è regionale, il bacino economico cui attinge l’Isis è questo”. Va controllato il più possibile.
“Si possono tagliare drasticamente le principali risorse finanziarie controllando le raffinerie di petrolio e impedendo il contrabbando alle frontiere” aggiunge Mario Abou Zeid, analista del Carnegie Middle East Center, “ma è praticamente impossibile tagliare tutte le risorse finanziarie e disintegrarli economicamente”.
Come si possono monitorare allora questi canali? La risposta è più articolata e tira in ballo i privati, i clan, le famiglie e gli emiri che hanno interesse a finanziare l’Isis.
Photo by The US Army – CC BY 2.0
Qui si ragiona con categorie claniche, ribadisce anche Lori Plotkin Boghardt, ricercatrice del Washington Institute: “I privati cittadini sauditi cercano di finanziare il più possibile l’Isis e altri gruppi in Siria ed Iraq”, ci spiega.
Privati e associazioni caritatevoli stanno inviando centinaia di milioni di dollari agli uomini di al-Baghdadi e molti di questi trasferimenti avvengono in contanti. “I sauditi inviano il cash che è molto più difficile da monitorare e da bloccare per il governo dell’Arabia Saudita” dice: “In ogni caso crediamo al governo di Riad quando assicura di star mettendo in carcere i cittadini che finanziano l’Isis”.
Non si tratta di un dato da poco perché ci dà la misura di come questa sia tutt’altro che una lotta tra Oriente e Occidente: “Questa è una guerra innanzitutto interna al mondo islamico, che la stragrande maggioranza dei musulmani del mondo ha interesse a combattere e a vincere”, scrive il sociologo Stefano Allievi.
Anche il fattore religioso e la retorica dell’Islam nel califfato non sono altro che uno strumento di propaganda. “L’Isis sa come spadroneggiare” spiega ancora Capelli: “Mercenari che nella vita, e non da poco tempo, fanno questo di professione. La professionalità militare di queste persone esula dalla loro ideologia”. E dalla religione. Molto ben organizzati, determinati, ma sostanzialmente mossi dalla logica della conquista più che da quella della jihad.
Lorenzo Declich ha scritto che un elemento chiave dell’Isis è la politica di potenza “che solo in seconda battuta trova un’ideologia di supporto”. L’Isis si combatte sul piano della modernità e della tecnologia, non su quello delle bombe, perché nonostante la violenza medievale, questa è una formazione moderna. E anche sul piano della cultura popolare: bisogna impedire che ottenga consensi e attecchisca sul territorio. Inoltre non si deve cadere nel trabocchetto religioso.
“Commette un grossolano errore chi sovrappone e quindi confonde i fondamentalisti con i conservatori e i tradizionalisti, opponendoli tutti assieme ai liberali” scrive lo studioso Allievi: “Si tratta di una illusione ottica, e in certo modo di un effetto di appiattimento: nella realtà non è affatto così”.
L’Occidente ha un’arma potentissima che è quella della logica opposta alla barbarie della violenza. “Se la comunità internazionale non intraprende una contro-strategia culturale, l’Isis, pure sconfitto militarmente, si rigenera sotto altre forme”, dice Abou Zeid.
L’eventuale costruzione di uno Stato islamico è un obiettivo di là da venire, ammesso che in futuro sia ancora prioritario. “L’Isis sta sviluppando strutture simil-statali nelle aree sotto il suo controllo” spiega Lori Plotkin Boghardt, “ma è molto improbabile che possa dominare tutta la Siria o tutto l’Iraq seppure dovesse conquistarli territorialmente, per vari motivi non ultima la popolazione locale che è sciita e che difficilmente vorrà farsi assoggettare”.
Immagine in evidenza: photo by The US Army – CC BY 2.0