Ebola: un caso di razzismo
La notizia è tremenda. Un nigeriano è morto all’aeroporto di Barajas, a Madrid, dopo essere rimasto privo di sensi al suolo per 50 minuti, senza che nessuno si avvicinasse, nemmeno medici e personale sanitario, perché temevano potesse trattarsi di un sospetto caso di ebola.
L’uomo non proveniva nemmeno dall’Africa, ma dalla Turchia. Eppure il servizio medico dell’aeroporto si è rifiutato di avvicinarlo in attesa che arrivasse una squadra specializzata in malattie infettive. L’uomo è andato in coma, è stato colpito da convulsioni ed è morto davanti agli occhi di una folla di persone che si teneva a dovuta distanza.
La notizia è tremenda e poco importa che poi si è accertato che l’uomo è morto a causa della rottura di uno degli ovuli carichi di cocaina che aveva ingerito. Non lo sapeva nessuno, ma l’uomo era nero, dunque africano e di conseguenza poteva essere un untore portatore di ebola.
Scusate, ma credo che questo sia un episodio di razzismo e di ignoranza. Razzismo perché se l’uomo era bianco sarebbe stato soccorso, anche se fosse stato, per esempio, il medico americano che ora è in isolamento perché risultato, lui si, affetto dal virus.
E di ignoranza perché la psicosi che si sta diffondendo non tiene conto dell’infinita possibilità statistica (visti i casi conclamati in Europa) di imbattersi in un caso di ebola. Statisticamente dovremmo temere di più il fatto che ci cada una tegola in testa.
Lasciare che questa psicosi si diffonda è irresponsabile. Lasciare che i media la alimentino è allo stesso modo irresponsabile. Le autorità sanitarie dovrebbero rassicurare e spiegare come stanno le cose.
E ci vorrebbe anche che il caso del nigeriano morto a Madrid venisse bollato per quello che è. Non è paura, è razzismo. O, se vogliamo attenuare un po’ i giudizi, è individualismo sfrenato, mancanza totale di senso civico.
Immagine in evidenza: photo by Army Medicine– CC BY 2.0