Immigrati, Eurostat ha pubblicato i dati più recenti sulla concessione di permessi di residenza nei Paesi UE nel 2013. Anno di crisi economica, di emergenza sbarchi, anche se non come il 2014, di cui sarà interessante leggere i dati. Anno anche di grandi differenze nella crescita all’interno dell’Unione Europea, differenze che si vedono anche nelle statistiche sul’immigrazione, ma non nella direzione che immagineremmo.
E’ l’Inghilterra la Mecca dell’immigrazione europea, in assoluto i Paese con più immigrati rispetto a tutti gli altri, quasi 725 mila, 2,5 volte il secondo Paese di questa classifica, la Polonia, vera e propria sorpresa. Evidentemente gli anni di crescita ininterrotta (la Polonia è stato l’unico Paese Ue a non entrare mai in recessione) hanno trasformato il Paese in un’attrattiva per immigrati da altri Stati, ed è un risultato ancora più fenomenale se si pensa che la Polonia è stata terra di emigrazione dopo il 1989, soprattutto verso Germania, Inghilterra, e anche Italia negli anni ’90.
Se però guardiamo al sottoinsieme più ristretto di Paesi dell’area euro ecco allora che appare il dato rilevante, ovvero che l’Italia è tra questi il Paese che ha concesso più permessi di soggiorno nel 2013, 244 mila, contro i 212 mila della Francia, e i 200 mila scarsi della Germania.
Vediamo i valori assoluti nella seguente mappa, che è anche navigabile e ingrandibile:
Di seguito la stessa mappa con i valori dei permessi concessi per 1000 abitanti, quindi in relazione alla popolazione del Paese:
Se l’Inghilterra conferma il proprio boom di immigrazione, assieme a piccoli Paesi come Malta e Cipro, poco valutabili per le loro dimensioni, emerge come anche la Svezia oltre la Polonia siano gli altri Paesi che accolgono più immigrati per abitante.
Se non stupisce che nei Paesi dell’Est a basso reddito l’immigrazione sia un fenomeno praticamente non esistente, così come per la Grecia e il Portogallo, tra i più colpiti dalla crisi tra i PIIGS, invece è interessante notare come alcuni Paesi in difficoltà come Italia, Spagna, Irlanda, attirino più immigrati di altri Paesi, come Germania e Francia. Sono 4,1 in Italia e 4,2 in Spagna ogni 1000 abitanti i permessi rilasciati, contro i 3,2 in Francia e solo 2,5 in Germania, meno anche della Repubblica Ceca o della Lettonia.
Se osserviamo i dati relativi ai soli permessi per lavoro, quelli più legati alla congiuntura economica, le differenze sono ancora più rilevanti:
L’Italia accoglie lavoratori extracomunitari quattro volte più di quanto faccia la Germania, mentre la Spagna tre volte. Veniamo superati quindi da Inghilterra, Scandinavia e Polonia, tutte aree con disoccupazione in discesa ed alta crescita. Per la Polonia si può immaginare un’immigrazione dall’Ucraina, ma sono ipotesi da verificare.
Per chiarirci la questione la seguente infografica (si possono muover i toolbars) mette in relazione la disoccupazione e i permessi concessi nel 2013:
Come vediamo la correlazione negativa, che dovrebbe essere molto rilevante, è appena accennata, ovvero sembra quasi che non vi sia un netto legame tra bassa disoccupazione e attrazione di immigrati. Mentre la Francia è esattamente in media, la Spagna accoglie molti più migranti di quanto i suoi valori di disoccupazione facciano pensare, mentre la Germania è un caso completamente atipico, ricevendo una quota molto minore di migranti a fronte di una disoccupazione ai minimi.
Evidentemente questi dati devono farci pensare che il fenomeno dell’immigrazione non è assolutamente mobile in base al cambiamento delle condizioni economiche, ci sono dinamiche che dipendono più dalla vecchiaia del fenomeno migratorio che da altre variabili, dalla struttura della popolazione immigrata, da quanto tempo è radicata e dal numero di immigrati già presente.
Poichè è ragionevole pensare che un grosso driver sia la presenza di lavori a bassa specializzazione che i locali non sono disposti a svolgere, qui dobbiamo considerare che sono Paesi come Spagna, Italia e ora Polonia i grossi Paesi a reddito medio-alto che hanno una disponibilità di qusto tipo di posti molto alta rispetto a quelli ad alto valore aggiunto.
Un’altra considerazione è che in Paesi di vecchia immigrazione come Francia e Germania vi è una seconda e terza generazione di immigrati già presente sul territorio, non sempre ben integrata, e che ricoprono quel ruolo che in altri Paesi è appannaggio di quelli in arrivo dall’esterno, ovvero lavoratori low skilled.
Le tensioni sull’immigrazione sono già forti, questi dati così discordanti ma soprattutto così poco legati all’effettiva situazione economica dei Paesi rischiano di non fare bene alla convergenza tra loro dei Paesi UE