“Scissione è un termine che non voglio nemmeno evocare” ribadisce Gianni Cuperlo, ex Presidente Pd a Radio Rai. Ieri lo aveva già annunciato Lorenzo Guerini, vicesegretario Pd e renziano della prima ora: “Scissione? Una parola che non ha cittadinanza nel Partito democratico”.
Non è la prima volta che lo spettro ‘scissione’ viene prima evocato tra le righe e poi, guadagnati i titoli sui giornali, sapientemente allontanato. Eppure, dopo sabato, lo smacco sembra ormai insanabile. L’ala ortodossa della ditta post-comunista è scesa in piazza con Camusso, Landini & co. mentre il nuovo- almeno a parole- PdR (Partito di Renzi) inveiva contro i “conservatori” dal garage della Leopolda numero 5. Ieri abbiamo riportato le opinioni, prevalentemente scettiche, di tre politologi interrogati sul tema dall’agenzia AdnKronos. Oggi è arrivata la risposta dalla politica.
L’EX TESORIERE E LA DITTA – “Chi vuole la scissione del partito non venga a cercare me” avverte Ugo Sposetti, ultimo tesoriere dei Ds oggi senatore democratico, già in polemica con i renziani per la questione del patrimonio ereditato dal Pci, poi diventato Pds e infine Ds. Ma sulle questioni di fedeltà alla ditta, non si discute. Ma, sulle finanze del partito, Sposetti è leggermente più tranchant: “Quando leggo le cose che scrivono i giovani dirigenti del Partito Democratico, dico che mi dovrebbero chiamare per fare una piccola lezione e spiegargli come si legge un bilancio”.
IL DISSIDENTE PERPETUO – “A Renzi piacciono tutte e due le destre” (27-02), “i metodi di Renzi sono un po’ violenti” (13-06), “il renzismo è prima di tutto una prospettiva dall’alto verso il basso, […] in questo assomiglia al Berlusconi del 1994, al Grillo del 2013, ma soprattutto a Craxi” (11-07), “Renzi vuole essere la nuova sinistra, ma fa la destra da dieci anni” (05-10). E’ il dissidente duro e puro del Pd: Pippo Civati guida l’ala oltranzista, quella che apre ai “grillini” e vorrebbe guardare a Sel più che ai centristi o ai “diversamente berlusconiani” di Alfano. Oggi ribadisce: il programma di Renzi sembra il “manifesto della destra, quella italiana, quella degli ultimi anni”. Perciò, voterà contro lo Sblocca Italia e il Jobs act ma non per aprire la scissione, ma perché non è giusto “sostenere simili scelte”.
GIANNI E CESARE, DI LOTTA E DI GOVERNO – Ieri al Corsera Gianni Cuperlo ha dichiarato che se ci sarà la scissione, “sarà colpa di Renzi”. Oggi fa non uno, ma due passi indietro: “Scissione è un termine che non voglio nemmeno evocare, il Pd è la nostra casa”. Poi minimizza. Le legnate tra renziani e sinistra dem diventano “dibattito che fa bene al partito”. Democristiani si nasce, non si diventa.
Poi c’è Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro. Da lui dovrà partire la discussione sul Jobs act. E la lotta si presenta fratricida. “Scissione? Non vedo questa possibilità-dice- preferisco essere la sinistra di un grande partito che far parte di un piccolo partito di sinistra”. Logicamente, non fa una piega. Ma nei fatti… “La battaglia va condotta dentro il Pd- conclude- e spero che in un partito così grande ci sia spazio, dialettica e ascolto”.
IL FILOSOFO – Stamane, intervistato da Repubblica, sul tema è intervenuto anche Massimo Cacciari, già sindaco di Venezia negli anni d’oro della laguna. “Credo che Renzi non solo non tema la scissione” dice a Sebastiano Messina “ma sia sul punto di desiderarla” perché a lui “conviene”. E i dissidenti che fine faranno? “Hanno tutti idee pre Renzi. Eccetto Civati. Se togli lui, gli altri sono reduci”. E tutto ciò significa “conservatorismo puro”. “Cosa vogliono combinare?- si chiede Cacciari- si rimettono con Vendola? Fanno un’altra Rifondazione?”.