Dimissioni Napolitano: sono nell’aria e se ne parla da qualche giorno. Dal Colle hanno fatto sapere di “non confermare né smentire le voci” e di fatto è come se fosse una conferma.
L’impegno preso da Napolitano nel 2013 in sede di giuramento è un impegno a termine. Finché le forze glielo consentono e non oltre i tempi necessari per approvare le fondamentali riforme di cui il paese ha bisogno. L’età avanza (89 anni) e le riforme, quella elettorale su tutte, tardano ad arrivare. A decidere quando andare via sarà lui. Ma ora le dimissioni sembrano più che mai prossime.
Nessuna sorpresa. Nessuna sorpresa nemmeno per Matteo Renzi che anzi ha accolto positivamente la nota diffusa ieri dal Quirinale che non conferma né smentisce le voci sulle ormai imminenti dimissioni di Napolitano. Renzi ha infatti riconosciuto “il ruolo di presidio e garanzia” svolto dall’attuale Capo dello Stato. È un po’ il suo punto di riferimento e, dipendesse da lui, Napolitano potrebbe fare volentieri a meno di dimettersi. Ma non ha alcuna intenzione di trattenerlo con la forza. Giorgio Napolitano è ormai prossimo ai 90 anni e gli va riconosciuto, ha detto Renzi, “Massimo rispetto e riconoscenza. E avanti con le riforme, il Presidente ci spinge a farle”.
E proprio dal presupposto delle riforme necessarie muove il fronte critico nei confronti delle dimissioni di Napolitano. Ne fa parte Il Mattinale, giornale vicino a Renato Brunetta. A loro avviso, quello delle dimissioni, sarebbe una sorta di ricatto nei confronti del Parlamento. Un tentativo di forzare i tempi e i temi dell’azione di governo. In difesa della posizione di Napolitano, Maria Elena Boschi e Graziano Delrio. La prima ha precisato che il Capo dello Stato non c’entra nulla con il Patto del Nazareno. Il secondo ha rimandato la discussione a quando le dimissioni saranno ufficiali, auspicando, in tal caso, la massima convergenza di tutte le forze politiche sulla scelta del successore.
Matteo Renzi avrebbe già pronto il nome. L’esperienza insegna ed è meglio non farsi cogliere impreparati. “Siamo il primo partito e in Parlamento siamo determinanti, dunque per forza di cose non passerà mai un Presidente che non piaccia al Pd”. Questa la voce del Partito Democratico. Tra le linee si legge che il futuro Presidente dovrà essere in piena sintonia con il premier Renzi.
Il nome se lo tiene stretto Renzi. Almeno fino a quando non si arriverà alla quarta votazione quando a decidere non saranno i due terzi dei 1008 votanti ma la semplice maggioranza assoluta. Negli occhi del Pd, e non solo, è ancora nitido l’errore commesso nel 2013 da Bersani che aveva proposto il nome di Franco Marini per il Colle. L’ex presidente del Senato venne presentato alla votazione come praticamente già eletto salvo poi incassare una pesante sconfitta. Una cosa “volgare e ingiusta” come lui stesso ora la definisce.
Senz’altro più eclatante il caso di Romani Prodi che sempre nel 2013 portò alle dimissioni di Bersani. Uno dei momenti più bui del Pd che dovette fare i conti con 101 franchi tiratori all’interno delle proprie file. Una sconfitta ancora indigesta ai democratici che Prodi sembra invece aver somatizzato: “Nessuna ferita da chiudere perché il problema non si era mai aperto”.
L’elezione del Capo dello Stato non è questione di poco conto. Ed è in quell’occasione, più che in ogni altra, che possono presentarsi gli spettri di trappoloni, agguati e vendette. Dal 2013 ad oggi, in Parlamento, non è cambiato granché. Ed è per questo motivo che il Partito Democratico si guarda bene dal lanciare nomi anzitempo. Sarà il momento della verità. Uno scontro diretto tra il governo ed i suoi oppositori. Come sostiene l’ex leader Udc, Marco Follini, ci sarà bisogno di alleanze “a prova di bomba” e di proporre magari nomi in grado di raccogliere un ampio consenso già nelle file del Partito Democratico: Walter Veltroni o Piero Fassino. Nomi mal visti da Matteo Salvini e dalla Lega Nord, che non vedono di buon occhio nemmeno l’eventualità che sia una donna a salire al Colle.
L’ipotesi di un cambiamento in tal senso è stata lanciata dalla Presidente della Camera Laura Boldrini: “Il Paese è pronto per avere un Presidente della Repubblica donna. In Italia ci sono donne autorevoli, che hanno delle storie significative, ed è giusto che possano essere considerate”. Tra i nomi che circolano ci sarebbero quello del ministro della Difesa Roberta Pinotti e di Anna Finocchiaro. Ma non sarebbero da escludere sorprese. La lista pare abbastanza lunga. La stessa Boldrini sarebbe in corsa insieme a Linda Lanzillotta, vice-presidente del Senato, Paola Severino, ex ministro della Giustizia, ed Emma Bonino, ex ministro degli Esteri. Potremmo avere per la prima volta un Presidente della Repubblica donna dando voce alla petizione presentata lo scorso anno e firmata da Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia e Laura Puppato del Partito Democratico.
Nei pensieri di Renzi, quello da proporre è un nome nuovo in grado di garantire neutralità e duttilità oltre che affidabilità. L’intento è quello di evitare personalità troppo forti. Sarebbe per questo motivo da escludere la candidatura di Mario Draghi che rappresenterebbe una sorta di commissariamento da parte della Bce. Ma anche quelle della Finocchiaro, della Boldrini e di Pietro Grasso. Con quest’ultimo Renzi ha troppo spesso duellato. Favoriti invece i nomi della Pinotti, di Castagnetti, ex segretario dl Ppi, e dei renziani Fassino e Gentiloni.
Non sarebbero da escludere nemmeno i nomi di Pier Ferdinando Casini e del già citato Walter Veltroni. Quest’ultimo godrebbe dell’appoggio anche di Silvio Berlusconi che ha confessato di avere con l’ex sindaco di Roma una sorta di debito “Veltroni è stato il primo a riconoscermi legittimità politica”. Ma il nome da sempre preferito dell’ex Cavaliere è quello di Giuliano Amato. La partita sembra essere ancora molto lunga e le dimissioni di Napolitano non sono ancora arrivate. D’altronde la contesa è appena cominciata. E spesso l’elezione del Presidente della Repubblica riserva grandi sorprese. Che sia la volta buona per una donna?