Successione Napolitano: il tema è ormai in cima all’agenda politica del Paese. Con un comunicato che ricorda molto una famosa formula utilizzata da Luciano Moggi qualche anno fa, il Quirinale “non conferma né smentisce” le voci su un possibile cambio d’inquilino sul colle sede del Palazzo del Presidente della Repubblica.
Giorgio Napolitano, classe 1925 e prossimo ai 90 anni, appare orientato sempre più verso l’addio dopo oltre 8 anni di presidenza. Un record per l’Italia repubblicana, ancora una volta alle prese con la difficile successione del più alto esponente istituzionale. Una situazione non nuova per un Parlamento che potrebbe veder replicate le situazioni paradossali del voto del “Napolitano-bis” (di 18 mesi fa, con le “faide” dei 101 ed altre vicende) o, andando ancora più indietro col tempo, con quelle che hanno portato all’elezione di Oscar Luigi Scalfaro nel 1992.
Le somiglianze con l’elezione dell’esponente della destra democristiana avvenne – non solo – dopo le stragi mafiose del 1992 (ed in particolare a pochissime ore dall’assassinio di Giovanni Falcone), ma arrivò dopo una particolare tensione che vide coinvolti esecutivo (guidato da Giulio Andreotti), il principale alleato del partito di maggioranza (il Psi, guidato da Bettino Craxi) ed il Presidente della Repubblica uscente (Francesco Cossiga). Il motivo della tensione, in quei mesi concitati tra il 1990 ed il 1992, venne generato dalla possibilità più o meno concreta di eleggere il Presidente della Repubblica con il “vecchio” Parlamento, in scadenza elettorale negli stessi mesi del settennato del Quirinale.
Allora, nonostante le grandi pressioni incrociate esercitate su Cossiga, il presidente “picconatore” riuscì a guidare le Camere fino all’indomani delle elezioni del 5 aprile 1992, che hanno segnato uno snodo fondamentale nella conclusione della cosiddetta “prima Repubblica”, con l’arretramento della Democrazia Cristiana e di tutti i partiti di governo appartenenti al “pentapartito“.
La successione di Napolitano ha però origini ben diverse, non fosse altro per la straordinarietà del “secondo mandato a tempo”. I punti di contatto con la situazione di 22 anni fa ce ne sono: innanzitutto la volontà, da parte del principale alleato del partito di maggioranza parlamentare (cioè Forza Italia), di votare il nuovo Presidente con questo emiciclo, perchè Berlusconi è ben cosciente del rischio di nuove elezioni dove i forzisti potrebbero veder molto assottigliata la presenza di deputati e senatori. Una situazione dove solo il Partito Democratico – “101” permettendo – ha tutto da guadagnare: la rosa di nomi che circola al momento, non a caso, è composta quasi esclusivamente da personaggi politici appartenenti o vicini ai democratici (Giuliano Amato, Anna Finocchiaro e – di nuovo – Romano Prodi). La tentazione di veder aumentata la forza parlamentare è però alta, ed il benestare di Napolitano potrebbe non essere così difficile da ottenere.
Il tutto è legato all’equilibrio ed al rischio che Renzi vuole e vorrà assumersi: ottenere il nuovo Presidente della Repubblica con questa maggioranza ed aspettare un altro anno prima di possibili elezioni o far saltare il banco subito e cercare di occupare tutto l’occupabile?