L’Anm contro il governo: nessun taglio agli stipendi dei magistrati
Magistrati sul piede di guerra. I tagli agli stipendi sono immotivati e rischiano di “dequalificare in prospettiva la Magistratura” che, si legge in una nota, “non sarà più in grado di attrarre le migliori professionalità”. Il giorno dopo le indiscrezioni circolate sul Def, che oggi approda in Consiglio dei Ministri, ad alzare la voce è l’Anm, l’Associazione Nazionale Magistrati. Non si è fatta attendere la replica del sindacato delle toghe, guidato dal sostituto procuratore Rodolfo M. Sabelli, circa l’ipotesi, allo studio del governo, di fissare un tetto agli stipendi per diverse categorie d’impiego: dirigenti pubblici, docenti universitari e, appunto, magistrati. Tagli indispensabili, con cui l’esecutivo potrebbe finalmente trovare tutte le coperture necessarie a finanziare lo “sconto Irpef” di 80 euro in busta paga, più volte promesso dal premier Renzi.
Riduzioni e tagli dei compensi su cui, lamenta il sindacato dei magistrati, non c’è stato alcun confronto con il governo: “l’Associazione Nazionale Magistrati, a fronte degli annunciati tagli degli stipendi nei riguardi di alcune categorie del settore pubblico – si legge nella nota – denuncia la gravità di una eventuale iniziativa unilaterale del Governo che, senza alcun confronto con le categorie interessate e in via d’urgenza, procedesse a una riduzione strutturale delle retribuzioni”. L’ennesima levata di scudi per il duo Renzi-Padoan, il cui problema principale è presentare oggi in Cdm l’elenco definitivo delle coperture necessarie a sostenere la manovra economica e finanziaria per quest’anno.
L’Anm precisa di non volersi sottrarre “all’impegno di solidarietà”, a patto che i prelievi previsti dal governo vadano a incidere in maniera prioritaria su altre categorie: evasori, grandi rendite e retribuzioni del settore privato. “La redistribuzione delle risorse deve avvenire in modo equo, a parità di capacità contributiva, e dunque con strumenti di natura fiscale, e non con soluzioni inaccettabili, che incidono unicamente su una parte del pubblico impiego” tuona il sindacato, secondo il quale ipotesi di tagli unilaterali e così repentini finirebbero per interessare “anche retribuzioni medie, onnicomprensive e assai distanti dai livelli sui quali spesso insistono i mezzi di informazione”.
Una riduzione dei compensi, dunque, inaccettabile per una categoria – attacca l’Anm – già sottoposta “a un gravissimo e crescente carico di lavoro e di responsabilità, a causa dell’insostenibile carenza di risorse materiali e di personale amministrativo, dell’inadeguatezza degli strumenti processuali e della conseguente lunghezza delle cause civili e penali.
Carmela Adinolfi