Quel che resta della sinistra
Il 12 novembre 1989 Achille Occhetto, segretario generale del PCI, parlando ad un gruppo di partigiani, disse che i comunisti non dovevano «continuare su vecchie strade ma inventarne di nuove per unificare le forze di progresso». Il blocco filo-sovietico era stato travolto dalle macerie del Muro di Berlino e anche il PCI avviava una lunga riflessione che si sarebbe conclusa col XXX congresso, nel 1991, quando si trasformò nel Partito Democratico della Sinistra.
Venticinque anni dopo “la svolta della Bolognina”, che ne è stato della sinistra italiana? Com’è cambiata? Cosa ne resta? Esiste ancora? A giudicare dall’ultimo straordinario risultato conseguito dal Partito Democratico verrebbe naturale dire che i progressisti non hanno mai goduto di così buona salute.
Il successo elettorale
Mentre Socialdemocratici tedeschi, Laburisti britannici e Socialisti francesi sono tutti, da anni, inchiodati attorno o sotto il 25%, la sinistra italiana, con quel 40,8%, sembra aver finalmente sconfitto la propria subalternità rispetto ai “moderati”. Al contrario, la sinistra intesa come riferimento politico per un consistente, ancorché mai maggioritario, gruppo sociale è ridotta ai minimi termini.
Questo è il risultato di un lungo mutamento socio-culturale che Matteo Renzi ha perfettamente capito e, quindi, sfruttato, rivolgendosi, d’ora in poi, all’imprenditore “che produce e assume” e al pubblico di Barbara d’Urso, non più all’elettore che “credeva di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri”, sentendosi parte di “una razza che voleva spiccare il volo per cambiare veramente la vita” (Giorgio Gaber, “Qualcuno era comunista”. La mia generazione ha perso. CGD East West, 2001).
Nella contemporaneità individualista il messaggio di una società migliore, più uguale, non ha appeal. Renzi e il suo inner circle ne hanno fatto tesoro e, con facilità, smantellano i diritti conquistati dai lavoratori, attaccano i sindacati, applaudiscono imprenditori e finanzieri mentre gli operai sono lasciati fuori a protestare, da soli. Del resto, chi si oppone è un vecchio conservatore con la testa al nel secolo scorso.
Sinistra tra solidarietà e base elettorale
Esplorando le “nuove strade” invocate da Occhetto, la sinistra ha smesso di credere nel valore, fondamentale, della solidarietà e s’è smarrita. Restano ancora sul campo, però, quei cittadini che non si rassegnano a morire post-democristiani: qualcuno di loro si è visto in piazza San Giovanni il 25 ottobre. Qualcuno, forse, aderirà allo sciopero generale che la CGIL ha minacciato. Molti di questi cittadini sono i lavoratori protetti dai diritti che Matteo Renzi considera privilegi. Tanti, però, sono i giovani, studenti e precari –e a Roma se ne sono visti parecchi– che chiedono un futuro migliore, dove sia allargata la platea di chi ha solide tutele, perché “i diritti non sono un lusso in tempo di crisi”.
Renzi fa bene ad ampliare la base elettorale del Partito Democratico ma non può sacrificare sull’altare delle sue personalissime ambizioni la migliore tradizione della sinistra italiana. Se ciò accadesse, si creerebbe un vuoto importante che qualcuno dovrà colmare.
Andrea Enrici