Il Segretario di Stato Usa John Kerry in Medioriente: oggi ha incontrato Abu Mazen, Presidente dell’autorità palestinese, ad Amman, capitale della Giordania. Al centro dell’incontro ci sono le tensioni crescenti con Israele. Nel frattempo si registrano nuovi scontri a Gerusalemme tra manifestanti palestinesi e polizia israeliana.
Intifada silenziosa
In arabo “intifada” significa “rivolta”, “sollevazione”: è uno degli aspetti più importanti del conflitto israelo-palestinese. La prima si è svolta all’incirca dal 1987 al 1993 quando, a dire il vero solo in parte, gli Accordi di Oslo normalizzarono le tensioni tra Israele e l’Autorità Palestinese (creata nel 1994 e oggi assorbita sotto la dicitura di “Stato di Palestina”). La seconda intifada scoppiò nel 2000 ma, sulla data della sua fine effettiva, non c’è un vero e proprio accordo. Si ritiene abbastanza corretto datarne il termine nel 2005.
La “terza” sembra essere sempre più imminente. Negli ultimi 10 anni più volte si è rischiato una ricaduta nel conflitto. In queste settimane gli episodi di intolleranza israeliana e la ripresa degli attentati targati Hamas si sono concentrati sulla questione della spianata delle Moschee/Monte del Tempio. È praticamente impossibile ricostruire una cronologia delle responsabilità, vista la spirale incrociata di reciproche violenze partita nel luglio scorso (presunto rapimento di tre ragazzi israeliani e successivo ritrovamento di un giovane palestinese carbonizzato).
Tuttavia, alla radice del problema, resta la volontà israeliana di espandere gli insediamenti a Gerusalemme Est e, dunque cancellare ogni possibilità di trovare un accordo sulla divisione pacifica della città in due parti distinte, una israeliana e una palestinese.
La richiesta palestinese all’Onu
Per l’autorità palestinese i piani di espansione israeliana sono un chiaro segnale della volontà di non porre un termine negoziale al conflitto che continua, anche dopo i colloqui di pace anch’essi in stallo, post-guerra di Gaza.
Per questo i palestinesi hanno deciso di presentare una risoluzione per il riconoscimento di uno stato palestinese (con conseguente ritiro degli israeliani dai territori occupati nel 1967 entro novembre 2016) al Consiglio di Sicurezza dell’Onu entro dicembre. Sembra che il vero intento della mossa (tra l’altro appoggiata dal Parlamento svedese e da quello britannico) sia quello di spingere gli Usa a imporre i negoziati di pace a Israele.
Il ruolo degli Usa
I rapporti tra Stati Uniti e Israele sono ridotti ai minimi termini come non succedeva da 15 anni. Tuttavia sembra che sia Obama sia Kerry si oppongano all’iniziativa palestinese per il semplice fatto che potrebbe innescare una nuova crisi regionale. Il Segretario di Stato, però, non ha fissato alcun incontro con il premier israeliano Nethanyahu al contrario di quanto fatto con Abu Mazen.
Nethanyahu ha mostrato ben poca deferenza in questi anni verso l’amministrazione americana, tradendo gli impegni presi quindi minando più volte la credibilità di Kerry sulla questione israelo-palestinese. Più volte Nethanyahu ha bypassato la Casa Bianca rivolgendosi direttamente al Congresso in mano ai Repubblicani. Probabilmente Obama aspetta di risolvere a suo favore i negoziati sul nucleare iraniano prima di detronizzare Nethanyahu, forte in patria ma isolato sul fronte internazionale, appoggiando la risoluzione palestinese.