Jobs Act, via libera della Commissione Lavoro e addio all’articolo 18. È stato approvato l’emendamento apportato da governo e maggioranza che, anche se di poco, modifica la delega legislativa sul Jobs Act in materia di licenziamenti.
Jobs Act, una perfetta sintesi “senza conflitti”
Tutti contenti, o quasi. Contenti, anche se per motivi differenti, i parlamentari Pd, anche quelli appartenenti all’ala sinistra dello schieramento, e quelli del Nuovo Centro Destra. I primi applaudono alle modifiche apportate al testo, i secondi sono soddisfatti perché il testo che era stato presentato in Senato non ha subito sostanziali modifiche.
Una sintesi, quella raggiunta tra Ncd e Pd, “senza conflitti” come precisa anche il sottosegretario al Lavoro Teresa Bellanova: “La sinistra del Pd chiedeva che il reintegro nel posto di lavoro restasse anche per i licenziamenti disciplinari ingiustificati. Ncd che questa ipotesi fosse limitata ad alcuni casi specifici. Ci sono tutte e due le cose”. E aggiunge: “Comunque non c’è nessuna negazione dei diritti delle persone, come qualcuno è andato dicendo in questi giorni ergendosi ad autorità morale”.
Una sintesi perfetta sulla quale si è espresso positivamente anche il presidente della Commissione Lavoro della Camera che è tra i relatori del Jobs Act, Cesare Damiano che in merito all’articolo 18 dichiara: “Sono molto soddisfatto della riformulazione”. E inoltre: “Si era partiti dall’idea di mantenere la tutela ai soli licenziamenti discriminatori, come sostenevano taluni esponenti del governo, e siamo arrivati ad includere anche i licenziamenti disciplinari. Non era scontato”.
Jobs Act, non toglie diritti ma elimina gli alibi
Contenti, ovviamente, Renzi e la sua squadra di governo: sono riusciti nella difficile impresa di accordare tutti. È un provvedimento che, secondo il premier, non toglie diritti a nessuno ma elimina gli alibi di molti. “Toglie alibi ai sindacati, toglie alibi alle imprese, toglie alibi ai politici” come fa sapere ai suoi sostenitori.
Jobs Act, sindacati in protesta
Ma qualcuno è rimasto scontento. Sono di questo avviso Filippo Civati e Stefano Fassina, da sempre contrari ad ogni sorta di mediazione per raggiungere l’intesa con il governo.
Ma ad essere scontenti sono soprattutto i sindacati. Su tutti la Uil che, attraverso le parole del proprio leader Carmelo Barbagallo, ha già proclamato lo sciopero generale. Nei piani della Uil ci sarebbe anche l’intenzione di compiere un’iniziativa unitaria dei sindacati coinvolgendo anche la Cgil e la Cisl. La Cgil, tramite Susanna Camusso, ha fortemente criticato l’emendamento approvato in Commissione Lavoro ed ha espresso grande soddisfazione per le intenzioni della Uil.
C’è l’iniziativa unitaria dei sindacati si svolga il 5 dicembre, data in cui è stata già programmata la mobilitazione della Cgil. Resta per ora contraria ad una iniziativa in tal senso la Cisl. Per il segretario generale Annamaria Furlan, il sindacato da lei rappresentato sarebbe contrario “a uno sciopero generale senza obiettivi precisi e con motivazioni confuse”.
Jobs Act, la Uil chiederà manifestazione unitaria dei sindacati
A muovere la dura reazione della Uil, come fa sapere il sindacato attraverso una nota, il fatto che dal governo non sia arrivata “nessuna disponibilità” né sui contratti del pubblico impiego, né sugli ammortizzatori sociali, né sulle richieste dei pensionati e nemmeno sul Jobs Act, dove, secondo la Uil, c’è “il rischio concreto che siano messe in discussione le tutele per quei lavoratori che già le hanno”. Di qui il forte desiderio di “una mobilitazione ormai non più rinviabile”.
Jobs Act, voto finale forse non sarà accompagnato da voto di fiducia
Il voto finale in Aula sul Jobs Act potrebbe non essere accompagnato dal voto di fiducia. Ma il Pd ha fatto sapere tramite il sottosegretario Filippo Taddei che “se ci dovessero essere migliaia di emendamenti, non ci sarà alternativa che procedere alla fiducia”.
Un argomento sul quale è intervenuto anche il ministro del Lavoro Giuliano Poletti: “L’eventuale tema della fiducia, come abbiamo sempre ribadito, è legato ai tempi di approvazione, il calendario dei lavori della Camera prevede che il 26 si concluda la discussione”. Nelle intenzioni del Governo c’è “far partire all’inizio dell’anno il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. In modo che possano essere utilizzate le risorse messe nella legge di Stabilità, destinate a fare in modo che in Italia cresca il numero dei contratti a tempo indeterminato”.
Dello stesso avviso anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan: “Sono poco esperto del procedimento parlamentare: vedo che la determinazione del governo e del presidente Renzi è ferrea ad andare avanti”.