Kessab, una ferita al cuore armeno della Siria
In prossimità di un triste anniversario
Qualsiasi data che scorre sul metro del tempo assume un significato preciso, sta lì ad indicare una sfida o un cambiamento di direzione, talvolta una tragedia sfiorata o magari realmente accaduta. Negli ultimi tre anni la politica internazionale e l’opinione pubblica globale si sono rapidamente abituate alle primavere arabe, uno slogan diventato il marchio di un’epoca, non sempre appropriato e forse persino passato di moda.
Anche la Siria era stata accarezzata da una primavera che ha presto battuto in ritirata, a fronte di un rigido inverno di guerra civile, quando la repressione testarda del Presidente Assad e la natura contraddittoria dell’opposizione esortavano le grandi potenze mondiali ad attuare delle scelte strategiche. Se sia ancora possibile – in una Siria talmente frammentata – distinguere realmente chi ha torto da chi ha ragione è un quesito irrisolto, logorato dagli attacchi ingiustificati dei ribelli alle minoranze etniche e religiose del Paese, le vere giunture del Governo di Damasco, da quest’ultimo protette in cambio di un’indiscussa fedeltà.
Sul finire dell’estate scorsa, i guerriglieri islamisti avevano sparato sulla cittadella santa di Maaloula e gli abitanti terrorizzati, quei cristiani d’Oriente che da duemila anni parlano l’aramaico, avevano commosso il mondo intero. Ora che Maaloula è stata riconquistata dalle truppe governative, c’è però un’altra cittadina che da quasi un mese vive sotto assedio. È l’enclave armena di Kessab, nella Siria nord-occidentale, colpita il 21 Marzo dai miliziani della jihad e considerata un’isola di pace da coloro che vi abitano e che da oltre quattro secoli vanno fieri della propria identità di cristiani armeni.
In una Siria completamente devastata, Kessab è davvero una storia di poco conto. Eppure questo luogo, a pochi chilometri dalla Turchia, rappresenta oggi uno dei pochi frammenti dell’antico Regno di Cilicia, l’ombra di un glorioso passato spazzato via dai Giovani Turchi all’inizio del secolo scorso ed oggi sciupato, ancora una volta, dal fanatismo religioso. Dal 21 Marzo scorso, le comunità armene di tutto il mondo chiedono solidarietà specialmente attraverso il web, dove impazza la campagna Save Kessab.
Il “grande male”: l’olocausto del popolo armeno
Il popolo armeno porta addosso vecchie cicatrici e il presente è solo la fine di un libro da leggere a ritroso, finché la memoria ritorna alla sera del 24 Aprile 1915, quando i fasti dell’Impero Ottomano erano ormai immagini di una storia già vissuta. Su quella parabola discendente si inserivano le nuove ambizioni dei Giovani Turchi, il loro nazionalismo sfrenato, il folle sogno di una Turchia islamica ed etnicamente omogenea. L’obiettivo prioritario dell’aggressione era una raffinata élite di intellettuali armeni che frequentava i circoli letterari di Costantinopoli, mostrava tendenze politiche ispirate all’Occidente, ma soprattutto era orgogliosa della propria cultura e di un’antica fede cristiana. Tuttavia, l’intera comunità armena in Turchia non aveva alcuna ragion d’essere.
Nella memoria collettiva poco è rimasto del furore dei Giovani Turchi, del loro disegno di pulizia etnica tradotto in realtà. Eppure, sfogliando le pagine di un passato lungo quasi un secolo, torna vivo il ricordo dello sterminio di oltre un milione di armeni tra il 1915 e il 1917. Alcuni morivano per le torture subite, ma la maggior parte era sottoposta ad estenuanti marce verso il deserto siriano dove la morte li accoglieva a braccia aperte. Tra questi soprattutto molte donne, vittime di violenze, umiliazioni e crocifissioni, mentre per le più belle si spalancavano le porte dell’harem. Ai bambini fu invece imposta la preghiera in moschea, le chiese cristiane erano state incendiate. Era l’ultimo bicchiere di amara sofferenza, inghiottito dopo una serie di ambigue forme di persecuzione cominciate vent’anni prima.
Ad oggi gran parte dell’Armenia storica è compresa tra i confini turchi, e ciò non solo perchè la popolazione è stata duramente provata dal genocidio, ma anche per il disinteresse politico delle potenze alleate, che con il Trattato di Losanna del 1923, rinunciavano al precedente impegno di costituire uno Stato indipendente nel territorio dell’Armenia storica.
L’instabilità dei rapporti internazionali
In base alle testimonianze raccolte nelle ultime settimane, i soldati turchi che il 21 Aprile scorso operavano al confine con la Siria sono stati ritratti come i guardiani di un massacro annunciato. E per quanto Ankara si dichiari completamente estranea al bombardamento che ha distrutto Kessab, si percepisce un chiaro imbarazzo per l’azione condotta dai miliziani della jihad e probabilmente avallata dalle autorità turche. La campagna mediatica per la strage che ha colpito la piccola enclave armena è stata solo l’occasione per riaprire un capitolo ormai chiuso, sepolto dal tempo e dal peso degli altri orrori della Grande Guerra.
Per una serie di coincidenze, dalle ceneri di un passato secolare riemerge negli ultimi tempi l’intramontabile immagine di una Turchia dominatrice. Basterebbe citare il disappunto che il Governo di Ankara ha espresso al Presidente Obama all’alba di una recente risoluzione – giudicata sconveniente dal Ministro degli Esteri turco – e che, se approvata dal Senato, istituirebbe negli Stati Uniti una giornata per la memoria del genocidio armeno. Se quest’eventualità si realizzasse, una crisi diplomatica metterebbe a repentaglio gli ottimi rapporti bilaterali tra Stati Uniti e Turchia.
A parte ciò, che vi sia o meno un coinvolgimento diretto della Turchia nell’attacco a Kessab, certo è che un’ombra di forte diffidenza cala prima di tutto sull’opposizione siriana. Ed ora che gli estremisti parlano di guerra santa e lasciano presagire un futuro tutt’altro che roseo per le minoranze etniche e religiose che costellano la Siria, non residua alcun dubbio che gli ideali della rivoluzione siano stati definitivamente screditati.
Dopo il fallimento dei negoziati di pace di Ginevra, com’era prevedibile, nuove bombe hanno arricchito il quadro delle rovine: la fuga in massa da Kessab è l’ultima fotografia della Siria di questi ultimi anni. A fronte di una simile ostilità, è intervenuto alcuni giorni fa in favore dei suoi protetti il Presidente Assad, che ha esortato l’opposizione all’equilibrio … a dimostrazione di quanto facilmente si invertano i ruoli in una guerra civile.
Ilenia Buioni