“Le parole di Renzi non aiutano la pace sociale, ma alimentano le tensioni sovversive e corporative”. La stoccata al premier arriva da Stefano Fassina, esponente della minoranza PD, subito dopo l’approvazione del Jobs Act alla Camera. L’assenza dall’aula al momento del voto da parte di ben 40 deputati dem certifica per l’ennesima volta la presenza di una profonda spaccatura in seno al PD. E c’è chi parla già di “corrente dei 29“, a sottolineare il numero di deputati assenti dall’aula per aperto dissenso.
Minoranza PD: la fronda dei 29
Rosy Bindi, Gianni Cuperlo, Alfredo D’Attorre e Francesco Boccia, oltre al già citato Stefano Fassina. Nomi pesanti accomunati dal dissenso nei confronti del progetto di riforma del lavoro. Un dissenso tale da spingere a convocare una conferenza stampa a Montecitorio per “battezzare” la nuova corrente.
Un gruppo che, secondo le parole di Cuperlo, è accomunato “da senso di responsabilità” ma “mettendo al centro il merito”. E all’ex presidente del PD non manca l’ironia, quando gli si fa notare il rischio di espulsione dal partito: “Confidiamo nelle nuove regole sul licenziamento disciplinare…”
Minoranza PD a rischio spaccatura?
Ma in realtà la fronda stessa sembra essersi rivelata meno compatta del previsto. Area riformista, facente capo all’ex segretario Pier Luigi Bersani e al capogruppo Roberto Speranza, ha deciso di partecipare al voto, appoggiando il provvedimento. Ed accusando i frondisti: “Abbandonare l’Aula, per parte nostra, avrebbe significato misconoscere i risultati che abbiamo ottenuto, far mancare il numero legale, impedire l’approvazione del provvedimento e costringere il Governo a trarre immediatamente le dovute conseguenze”.
Lo stesso Bersani cercare di calmare le acque, parlando di voto favorevole per senso di disciplina: “Siamo davanti a dei miglioramenti indiscutibili, di cui bisogna ringraziare i membri della commissione”. Pur ribadendo che “C’è però un imprinting iniziale di queste norme che non convince”. Con Bersani anche l’ex segretario Guglielmo Epifani: “Se si fa un lavoro per migliorare il testo ti comporti di conseguenza e lo voti”.
Chi invece non ha avuto problemi a restare in aula esprimendo apertamente il proprio dissenso è stato Pippo Civati, unico dem insieme a Luca Pastorino a votare “no”. Lo sfidante di Renzi alle primarie però puntualizza: “Il tema era dare un segno che si capisse all’esterno. Secondo me o si vota contro o si esce il messaggio è uguale”.
Dal governo arrivano messaggi distensivi, a partire dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti: “L’atteggiamento della minoranza Pd era in qualche misura prevedibile. C’è una discussione che va avanti da tempo e posizioni notoriamente diverse. Tuttavia anche chi non ha espresso voto favorevole alla fine ha apprezzato i miglioramenti e ha riconosciuto il lavoro svolto”. Tuttavia, la spaccatura nei dem resta, mostrando sempre più crepe.
Cgil prepara ricorso in Europa
La Cgil valuterà anche il ricorso in sede europea contro il Jobs Act, sulla base della Carta di Nizza sui diritti fondamentali. Ad una domanda in tal senso, il segretario generale della Cgil Susanna Camusso ha infatti risposto: “Valuteremo tutte le strade”, intanto “abbiamo bisogno di capire come vengono scritti i decreti delegati”