Ma Monti è di destra o di sinistra?
In una recente intervista ad un noto quotidiano nazionale, l’ex segretario del Partito Democratico Walter Veltroni ha invitato il suo partito politico a non “cedere Monti alla destra”. Da qui un invito teso ad arginare la deriva socialdemocratica che parte del Pd vorrebbe imprimere alla propria forza politica (leggi i Giovani Turchi) e a non cristallizzarsi su posizioni precostituite e tabù per quanto concerne la riforma del mercato del lavoro (e lo spinoso tema dell’articolo 18).
[ad]Ha risposto a stretto giro di giostra, dopo il responsabile economico Stefano Fassina, il segretario nazionale Pierluigi Bersani. Che a dire il vero però, con le sue argomentazioni, ha evidenziato (involontariamente?) come il tema del lavoro e della tutela in caso di licenziamento sia un’argomentazione utilizzata per posizionamenti, se non vere e proprio polemiche, interni al partito.
Nonostante questo balletto di posizioni tese ad ottenere un ruolo di protagonismo politico nel partito, permane una questione: il governo tecnico (o “governo strano”) di Monti com’è considerabile?
Nella non risposta del Pd a questo quesito stanno gran parte delle contraddizioni interne al maggior partito di centrosinistra.
Infatti i temi sono due: ci si può chiedere se Monti in se è di destra o di sinistra, o ci si può chiedere se tutto l’esecutivo nel suo complesso sia collocabile sulla riva destra o quella sinistra.
Nel primo caso occorre fare una valutazione, non solo politica, sulla figura di Mario Monti. Nel secondo caso occorre studiarsi le singole misure adottate da questo governo e cercare di collocarlo nello scacchiere politico.
Per quanto riguarda il primo quesito, che però a dire il vero ci sembra di scarso interesse, occorre dare uno sguardo alla vicenda professionale di Monti. Sul “Termometro Politico” del resto, all’indomani della sua nomina a premier, evidenziammo questo aspetto dimenticato: uno dei periodi in cui Mario Monti è stato probabilmente più impopolare nel corso della sua carriera è stato nell’agosto 2005. Quando, da semplice professore universitario avendo ultimato il suo mandato nella Commissione Europea, auspicò la nascita in Italia di un “Centro Politico” capace di dar vita a quella riforme strutturali di cui l’Italia aveva bisogno.
Si consideri che in quel periodo il sistema politico italiano era abbastanza dissimile da quello attuale: era la vigilia delle politiche del 2006 dove si sapeva si sarebbero contrapposte due coalizioni politiche, una guidata dal premier uscente Berlusconi e l’altra da Romano Prodi.
Una situazione di bipolarismo estremo (i due schieramenti facevano a gara a chi riusciva a stringere accordi con più partiti) in cui elogiare ipotesi neo-centriste era quanto mai impopolare e dallo scarso effetto pratico. Del resto si stavano vivendo gli ultimi mesi del Mattarellum.
Alla luce di questa situazione Mario Monti, che appariva ancora come l’uomo che aveva multato Microsoft e a cui ingiustamente era stato preferito Rocco Buttiglione alla Commisione Ue, fu attaccato da destra e da sinistra che concordano in maniera quanto mai bipartisan sull’insensatezza delle dichiarazioni del professore.
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