Jobs Act e articolo 18: ecco come cambierà il mondo del lavoro
Jobs Act, il testo, che può essere considerato quello definitivo, arriverà in aula per ricevere la nuova approvazione del Senato, dopo le modifiche apportate dalla Camera, il 2 dicembre. La delega che il Parlamento affiderà al Governo riguarderà gli interventi atti a modificare il mercato del lavoro. Nello specifico, l’esecutivo potrà intervenire sugli ammortizzatori sociali, sull’attività ispettiva, sugli strumenti di tutela della maternità e soprattutto sulla riorganizzazione dei contratti: un punto che richiede la modifica del famoso articolo 18.
Contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti e salario minimo
È infatti intento del Governo Renzi introdurre il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti e un salario minimo, oltre all’apertura al demansionamento e al controllo a distanza dei lavoratori. Decreti per i quali Renzi e la sua squadra di governo avranno sei mesi di tempo. Il premier però incalza promettendoli già per gennaio. Le opposizioni, non da meno quella interna al Pd, restano in agguato: i fondi stanziati per i nuovi ammortizzatori sociali sarebbero insufficienti e l’apertura al demansionamento non sarebbe indenne da rischi per i lavoratori. Si teme poi una scarsa riduzione dei contratti già esistenti a causa del riordino previsto.
Ma il tema caldo, quasi rovente, è quello che riguarda l’articolo 18 e i licenziamenti. Le modifiche a tale articolo riguarderanno tutti coloro che firmeranno un nuovo contratto a tempo indeterminato con tutele crescenti. Una formula che l’esecutivo spinge a rendere “prevalente”. I licenziamenti previsti sono di tre tipi.
Il licenziamento discriminatorio
Il primo è il licenziamento discriminatorio. Resta invariato rispetto alla legge Fornero e alla legge che la precedeva. In caso di discriminazione per motivi religiosi, politici, sindacali, o di orientamento sessuale, il giudice potrà annullare il licenziamento o imporre il reintegro del lavoratore. Inoltre, il datore di lavoro dovrà provvedere al pagamento delle mensilità perse dal lavoratore dalla data del licenziamento.
Il licenziamento disciplinare
La seconda tipologia di licenziamento è quello disciplinare. Compito del giudice sarà stabilire se la responsabilità imputata al lavoratore, in merito al fatto specifico o al generale rendimento, sussiste o meno. Nel caso in cui tale licenziamento venga ritenuto illegittimo dal giudice, prima della riforma Fornero, il lavoratore aveva diritto al reintegro nelle aziende con più di 15 dipendenti. Era invece prevista una sanzione economica (dalle 2,5 alle 6 mensilità) per le aziende con meno di 15 dipendenti. La riforma Fornero aveva mantenuto il reintegro per le aziende con più di 15 dipendenti ma aveva anche introdotto parametri più stringenti nei casi in cui i contratti collettivi non impongano sanzioni diverse. Parametri che consentivano al giudice di condannare il datore di lavoro a versare al lavoratore ingiustamente licenziato da un minimo di 12 ad un massimo di 24 mensilità. Con il Jobs Act viene ridotta ulteriormente la discrezionalità del giudice: sarà arduo compito del ministro Poletti individuare le diverse tipologie dei casi di licenziamento disciplinare ritenuto illegittimo e stabilire quale di queste avrà diritto al reintegro.
Il licenziamento economico
La terza tipologia di licenziamento è quello economico, quello per giustificato motivo oggettivo. Questa tipologia di licenziamento è quella che ha subito le maggiori modifiche. Prima della legge Fornero, il lavoratore aveva diritto al reintegro nel caso in cui il giudice avesse ritenuto la mutata esigenza produttiva del datore di lavoro non tale da motivare il licenziamento. Dopo la riforma Fornero, il reintegro era divenuto meno scontato poiché il lavoratore vi avrebbe avuto diritto solo nel caso in cui la motivazione del licenziamento fosse stata “manifestamente insussistente”. Diversamente, il lavoratore avrebbe avuto diritto solo ad un indennizzo dalle 12 alle 24 mensilità. Il Jobs Act punta invece ad escludere, in questo caso, il reintegro. È obiettivo dell’introduzione del contratto a tutele crescenti evitare che si ricorra al giudice in caso di licenziamento economico. Verrà quindi stabilità una indennità alla quale il lavoratore avrà diritto in caso di licenziamento. Indennità che aumenterà col crescere dell’anzianità di servizio.