D’Alema e Renzi, nuova puntata. Questa volta il tema principale delle critiche che l’ex segretario del Pds – intervistato dal Corriere – muove all’attuale premier è la teoria della Terza Via. Teoria della quale lo stesso D’Alema fu sostenitore all’inizio degli anni ’90 e che portò i governi di centrosinistra ad imprimere una forte spinta verso le liberalizzazioni e le privatizzazioni. Una scelta che, insomma, mirava a diminuire il peso dello Stato nelle scelte di mercato.
La Terza via 15 anni fa
Secondo D’Alema ora questa via non è perseguibile. O meglio non rappresenterebbe la scelta più giusta e, forse, non lo è stata nemmeno al suo tempo. Secondo l’ex leader dei DS oggi provare a percorrere la cosiddetta Terza via non ha nessun senso. Quindici anni fa quella scelta “fu lo sforzo di far incontrare i principi del socialismo con una visione di tipo liberale”. Uno sforzo che “diede i suoi frutti, anche nel nostro Paese”.
E aggiunge: “Fu la sinistra al governo che, sulla base di quella visione, ridusse drasticamente la presenza statale nell’economia, avviò le grandi privatizzazioni, lanciò le liberalizzazioni poi continuate nel lavoro di Bersani, riformò le pensioni. Pose fine a una politica di deficit spending, tanto che noi portammo il debito pubblico dal 127 al 102% del Pil, realizzando sistematicamente un avanzo primario del 3% e liberalizzò il mercato del lavoro, per certi aspetti perfino troppo, visto che si produssero forme contrattuali che poi sfociarono in una eccessiva precarizzazione”.
La Terza via oggi
Da allora molto è cambiato. Tutto o quasi. Al punto che l’ex premier stesso dice: “Quindici anni dopo, i problemi sono completamente diversi. Bill Clinton, non un pericoloso estremista, ha scritto tre anni fa un libro, Back to work , sostenendo che il principale limite di quella esperienza fu di aver sottovalutato il ruolo dello Stato”. E ammette: “La Terza Via fu pensata in una prospettiva ottimistica della globalizzazione, che si è rivelata fallace. L’eccesso di liberalizzazione ha portato a enormi diseguaglianze sociali, a grave instabilità economica e, in ultima analisi, alla crisi del 2008”.
Una manovra dunque che lo stesso D’Alema definisce anacronistica rispetto ai tempi che stiamo vivendo. Anacronistica e inadatta per tre motivi secondo l’ex premier: “Primo, la riduzione del ruolo dello Stato era il tema di vent’anni fa. Secondo lo abbiamo fatto. In qualche caso forse troppo. Terzo, alcuni dei protagonisti riflettono criticamente su quell’esercizio. Oggi tutto il pensiero economico ruota intorno ad altri tempi. Ci sono Stiglitz, Piketty, Krugman. Il Financial Times ha dedicato una pagina intera al libro della Mazzuccato sulla necessità di riscoprire il ruolo dello Stato come forza propulsiva dello sviluppo. Quelli che invocano la Terza Via sembra abbiano saltato le letture degli ultimi 10 anni, ammesso che avessero fatto quelle precedenti”.
La mano dello Stato
C’è bisogno della mano dello Stato, oggi più che mai, poiché, come sottolinea lo stesso D’Alema: “La crisi ha evidenziato i limiti dell’approccio liberista e ha messo la politica di fronte alla responsabilità di promuovere gli investimenti e ridurre le diseguaglianze. La crisi europea si caratterizza soprattutto come crollo della domanda interna. Oggi l’Europa è esportatore netto, malgrado l’euro. Ma il problema è il crollo dei consumi europei che deriva da un impoverimento delle classi medie e del mondo del lavoro”.
D’Alema sulle riforme del governo Renzi e sul Jobs Act
Non risparmia, D’Alema, un’opinione sulle riforme che il governo Renzi sta provando a fare: “Trovo stravagante e incomprensibile che oggi, con i dati economici peggiori dell’eurozona, sia la riforma elettorale la priorità di un governo che dice di voler rimanere in carica fino al 2018. Non credo che l’Europa ci chieda questo”.
E sul Jobs Act: “La riforma del mercato del lavoro contiene molti aspetti positivi, io sono favorevole al contratto unico a tutele crescenti perché riduce la precarietà del lavoro”. E qui un’altra critica a Renzi e al suo governo: “Contesto il fatto che la nuova generazione di occupati non possa accedere alla tutela dell’articolo 18, che invece rimane per i lavoratori già assunti. A partire dai principi stessi enunciati dal governo, il meccanismo proposto introduce quindi un elemento che li contraddice, fra l’altro stabilendo una diseguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, dubbia sotto il profilo costituzionale”. Sulla riforma del lavoro, D’Alema chiude così: “Non credo che, approvato il Jobs act, arriveranno investimenti a pioggia o cresceranno tumultuosamente i posti di lavoro”.
Le priorità di un governo di sinistra secondo D’Alema
Le priorità per un governo di centrosinistra, secondo l’ex leader DS, dovrebbero essere altre: “La riforma dello Stato, delle amministrazioni, compreso il funzionamento della giustizia, la sicurezza. A livello europeo, la prima riforma dovrebbe essere quella dei mercati finanziari”. Un buon punto di partenza potrebbe essere cominciare “a stabilire che all’interno dell’eurozona non sia possibile la concorrenza fiscale. Non possiamo scoprire solo ora che il Lussemburgo è un paradiso fiscale, magari per indebolire Juncker e con lui la nuova Commissione”.
Austerità e semestre italiano
Massimo D’Alema sembra invece essere d’accordo con Renzi sul contrasto all’austerità. A riguardo l’ex leader de Pds dice: “Sono convinto che l’austerità come premessa della crescita sia una ricetta sbagliata”. E come lui stesso dice, all’ultimo G20, la questione principale è stato il dibattito proprio sull’austerità tra la Merkel e Obama. “È Obama che ha detto alla cancelliera che l’Europa deve spendere di più nella crescita. È questo il vero ostacolo alla ripresa, non l’articolo 18”.
Polemico, l’ex presidente della bicamerale, anche sul semestre italiano alla presidenza dell’Unione Europea: “Devo dire che, anche per ragioni oggettive, le vicende della Commissione, la battaglia sulle nomine, non mi pare abbia lasciato un segno così indelebile nella storia dell’Unione Europea”.
D’Alema e il dissenso nel M5S
L’ex segretario DS, a margine di un incontro organizzato dal Pd in ricordo di Enrico Berlinguer, spende qualche parola anche sulle espulsioni del M5S: “Colpisce questo autoritarismo interno e la chiusura a ogni forma di confronto democratico”. E aggiunge: “All’origine il movimento si caratterizzava per la partecipazione. Ora si rischia di tradire questa caratteristica originaria e di tradire molte persone”.