La guerra in Sud Sudan sembra ormai scivolata su una china dalla quale sarà difficile recuperarla. I due recenti massacri di Bor, in un campo profughi, e quello di Bentiu, nelle moschee e nelle chiese, parlano chiaro: si è raggiunta una violenza, una ferocia e una efferatezza che fanno temere che la vita tra le due principali etnie, i dinka e i nuer, non sia più possibile, forse anche nel futuro, a guerra finita.
Quello di Bor, capitale dello stato di Jongley, sembrava essere l’avvenimento più grave della guerra. Un commando (probabilmente di etnia dinka) è penetrato in un campo profughi ingaggiando battaglia con i caschi blu indiani che lo sorvegliavano e, una volta all’interno, hanno sparato sulla folla che si accalcava per una distribuzione di cibo. Poco meno di un centinaio i morti.
Pochi giorni dopo un avvenimento ancora più grave, sia per il numero dei morti, sia per la dinamica. A compierlo, nella città di Bentiù, l’etnia opposta, i nuer, quasi fosse una vendetta: uomini armati hanno attaccato chiese e moschee, hanno diviso la gente su base etnica e poi hanno ucciso, a sangue freddo, senza pietà. Altri morti anche in ospedali e in un compound dell’Onu dove gli armati hanno cercato con meticolosa ferocia i membri dell’etnia opposta. Centinaia alla fine i morti.
Due avvenimenti che raccontano in modo drammatico questa guerra tremenda che non ha più nemmeno un negoziato di pace dopo che quello di Addis Abeba è miseramente fallito. Una guerra che, sembra, non indigni nemmeno la comunità internazionale che, evidentemente, non ha una mediazione da sottoporre (o da imporre) ai due rivali: il presidente Salva Kiir, un dinka, e il suo ex vice Riek Machar, un nuer.
Una cosa che la comunità internazionale dovrebbe fare immediatamente è accusare questi due personaggi di crimini di guerra e contro l’umanità. Non servirà a fermarli, forse, ma certamente servirà a fare immaginare loro che, se anche vinceranno questa guerra, non potranno godersi i vantaggi in tutti i paesi del mondo e che la comunità internazionale li considera quello che sono: degli assassini irresponsabili.
Entrambi hanno la colpa di avere lanciato senza scrupoli un arma tremenda, letale: quella etnica. Un arma forse addirittura peggiore di quelle chimiche o nucleari perché una volta attivata è quasi impossibile disinnescare. Un arma che continuerà ad uccidere anche a guerra finita.
Questi due avvenimenti di Bor e Bentiu rischiano di essere solo l’inizio di una guerra che si combatterà con machete, coltelli, bastoni e kalashnikov arrugginiti, quelli che Dinka e Nuer hanno tenuto nascoste nelle loro capanne in attesa che qualcuno dicesse loro di usarli. Si, perché i massacri di Bor e Bentiu non sono stati compiuti da soldati regolari ma da civili armati.
Salva Kiir e Riek Machar faranno in fretta a dissociarsi da quei massacri, sarà gioco facile per loro affermare che non sono in grado di controllare e gestire la truppa. Di fatto sono i più responsabili di quanto è accaduto.
Raffaele Masto