Morando (Pd) difende il Jobs Act. D’Attorre: inutile ormai referendum interno
Le questioni relative alla riforma del lavoro scuotono casa Partito Democratico e non solo. Una dialettica particolare è anche interna al Governo Renzi nel particolare rapporto con le parti sociali.
Anzitutto il vice Ministro dell’Economia e delle Finanze, Enrico Morando (Pd), difende – dalle colonne de La Stampa – le iniziative dell’esecutivo sul tema lavoro: “non è vero che non ci occupiamo dei precari. Questa non è una critica fondata”, rispondendo alle parole del professor Luca Ricolfi.
Poi, Morando, traccia la road map degli interventi: “dal primo gennaio scattano tre norme: la prima, nella Legge di Stabilità, è la decontribuzione per i nuovi assunti. Secondo, per le imprese ai fini Irap non peserà più il costo del lavoro. Terzo, siamo convinti che con il Jobs Act arriverà il nuovo contratto di lavoro a tutele crescenti. Quarta misura, per i lavoratori fino a 26mila euro ci sarà stabilmente il bonus degli 80 euro. Ammettiamo che il numero assoluto degli occupati possa non aumentare; ma ragionevolmente ci attendiamo che tanti rapporti di lavoro precari si trasformeranno in rapporti di lavoro stabili”.
Ma dal sindacato della Cisl arriva una parziale bocciatura del Jobs Act. A parlare è niente di meno che la nuova leader, la segretaria Anna Maria Furlan, la quale, ancora dalle colonne del quotidiano torinese fondato nel lontano 1867, sostiene con fermezza come sia il tempo delle proposte (e non delle urla tipiche della Cgil): “la svolta può arrivare da altro: innovazione, ricerca, istruzione, trasporti, tutela ambientale, risparmio energetico. Bisogna fare di tutto per usare fino in fondo i fondi che l’Europa ci mette a disposizione concentrando gli sforzi in una agenzia nazionale. Da Napoli in giù – sottolinea la sindacalista Cisl – non c’è alta velocità, la banda larga è una perfetta sconosciuta, l’energia costa ovunque il 30 per cento in più del resto d’Europa. Del vecchio programma di fondi europei, quello che scade l’anno prossimo, abbiamo ancora da spendere 18 miliardi di euro, 13 dei quali dedicati al Sud. Si discute molto di Jobs Act, poco dei cambiamenti strutturali che possono far ripartire la crescita e l’occupazione”.
Ed il Jobs Act, come noto, scuote casa Nazareno. Infatti la minoranza Pd, quella di sinistra (Bersani, D’Alema, Cuperlo ed altri), ha bocciato la riforma del lavoro. E la possibilità di un referendum interno (parere del popolo dem circa il Jobs Act) sembra ormai svanito. Parla Alfredo D’Attorre, deputato in Commissione Affari Costituzionali, per mezzo de Il Corriere della Sera: “il referendum è senz’altro uno strumento da valorizzare in futuro per la vita democratica del Pd. Ma sul Jobs Act ormai i buoi sono scappati, e non ha più senso”. Poi esorta il suo partito: “credo che su piazze e astensionismo commetta drammatiche sottovalutazioni. Se il Pd non parla più al mondo del lavoro, non basterà certo fare conto su un po’ di elettorato in uscita dal centrodestra: si rischia un saldo negativo in termini di consenso e il totale snaturamento del partito”. Un ritorno alla vecchia base? No, più che altro “una campagna di ascolto vera su emergenza economico-sociale, lavoro, democrazia. I dirigenti nazionali vadano nei circoli, dai militanti”.
Daniele Errera