(In collaborazione con Mediterranean Affairs)
Il generale David M. Rodriguez, comandante dello U.S. Africa Command, ha annunciato che lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL) ha stabilito i propri campi di addestramento nell’Est della Libia. Un’assoluta novità che, secondo quanto dichiarato dallo stesso generale, gli Stati Uniti intendono “monitorare e osservare con attenzione”, senza escludere l’ipotesi di possibili raid aerei contro gli stessi campi.
“Preoccupazione per il deterioramento della situazione in Libia”
L’annuncio fa seguito alla riunione, svolta presso il quartier generale della NATO a Bruxelles, alla quale hanno partecipato i 60 Stati della coalizione anti-ISIL. I ministri degli Affari Esteri di Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti, assieme all’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, e il Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite, Jan Eliasson, hanno firmato una dichiarazione congiunta riguardo l’attuale condizione del Paese libico. Esprimendo la propria “seria preoccupazione per il deterioramento della situazione in Libia”, tramite la dichiarazione sollecitano le principali parti del panorama libico a partecipare ai nuovi colloqui per la formazione di un governo di unità nazionale. Lo svolgimento dei nuovi colloqui, fissati per il 9 dicembre, è stata annunciata dal Rappresentante speciale del Segretario generale e capo della missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia, Bernardino León Gross.
Omar al-Hasi apre al dialogo
A dare la propria disponibilità a partecipare al dialogo, nonostante le precedenti critiche negative sull’operato delle Nazioni Unite, è stato il governo di Tripoli, guidato da Omar al-Hasi, esponente dei Fratelli Musulmani. È stato instaurato dalle milizie della coalizione filo-islamica Fajr Libya, le quali hanno anche ripristinato il Congresso Generale Nazionale (CGN), ovvero la precedente assemblea parlamentare, eletta nel 2012 e sostituita lo scorso giugno dalla Camera dei Rappresentati, sita a Tobruk. Quest’ultima è riconosciuta dalla comunità internazionale come la legittima assemblea parlamentare della Libia: il governo di Tobruk è guidato da Abdullah al-Thani che, nella lotta ai gruppi jihadisti, può contare sia sull’esercito libico sia sul sopporto delle forze del generale Khalifa Haftar, che nello scorso maggio aveva lanciato la “Operation Dignity” per respingere le milizie di Ansar al-Sharia.
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Il caos istituzionale
Nonostante il riconoscimento internazionale, il governo di Tobruk è stato delegittimato dalla Corte Suprema di Tripoli, permettendo conseguentemente al “riesumato” CGN di auto-conferirsi le funzioni parlamentari. Nel caos istituzionale, s’inseriscono attori internazionali, come l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti che sostengono il governo di al-Thani, mentre il Qatar quello stabilito a Tripoli. Tuttavia, nel frattempo la popolazione civile è la principale vittima di questa lotta di potere, poiché nel Paese continuano i combattimenti.
I combattimenti proseguono
I raid aerei delle forze di Tobruk nell’area occidentale del Paese, oltre che colpire i vari gruppi delle milizie islamiche di Fajr Libya, stanno causando numerose vittime tra i civili. Mentre il governo di al-Hasi non esita a condannare tali attacchi come “atti terroristici”, la rappresaglia dell’Ovest libico non tarda ad arrivare: le fonti militari di Tobruk, infatti, hanno accusato il gruppo jihadista Ansar al-Sharia di attaccare i civili dell’Est.
Le conseguenze per l’Italia
Le conseguenze di questo conflitto civile, intanto, stanno ricadendo sull’Europa, e in particolare sull’Italia: “Da gennaio, 162.000 sbarchi, rispetto ai 40.000 dell’anno scorso, e dobbiamo essere consapevoli che il 90% avvengono attraverso la Libia”, così ha dichiarato il ministro degli Affari Esteri dell’Italia, Paolo Gentiloni, in occasione della Conferenza Ministeriale di lancio del Processo di Khartoum (“EU-Horn of Africa Migration Route Initiative” – HoAMRI), promossa dalla Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea la scorsa settimana a Roma. Lo stesso ministro, in occasione di un’intervista rilasciata recentemente al quotidiano “La Repubblica”, aveva dichiarato: “Non dobbiamo ripetere l’errore di mettere gli stivali sul terreno prima di avere una soluzione politica da sostenere. Ma certo un intervento di peacekeeping in Libia, rigorosamente sotto l’egida delle Nazioni Unite, vedrebbe l’Italia impegnata in prima fila”. Inoltre, anche il Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi ha commentato la vicenda libica, dichiarando la Libia rischia di diventare un “hub del terrorismo internazionale”. L’allarme lanciato dal governo italiano ha trovato il sostegno della comunità internazionale, come testimoniato dalla sopraccitata dichiarazione firmata a Bruxelles. Questa, oltre a condannare i recenti episodi di violenza e di guerriglia registrati nel Paese, termina con l’appello per un’immediata cessazione delle ostilità. Inoltre, precisa che qualora alcuni attori-chiave del contesto libico non dovessero partecipare al dialogo, sarà preso in considerazione “il ricorso a misure aggiuntive per proteggere l’unità, la stabilità e la prosperità della Libia e per contrastare l’espansione delle minacce terroristiche in Libia e nella regione”.
Giacomo Morabito
(Mediterranean Affairs – CEO and Founder)
Immagine in evidenza: photo by Ben Sutherland - CC BY 2.0