Il mondo anglossassone continua ad amare il “lifestyle” italiano, vede con crescente preoccupazione la crisi dell’Italia ma tutto sommato nutre fiducia per l’operato di Matteo Renzi. È quanto emerge dall’analisi dello statunitese New York Times e dell’inglese Financial Times che nei giorni scorsi si sono espressi in considerazioni sullo stato attuale del nostro paese.
Il New York Times, storico giornale americano politicamente orientato verso i Democratici Usa, nell’editoriale pubblicato sull’edizione internazionale e firmato da Roger Cohen, esprime apprezzamento per il premier italiano, definito “un politico rivoluzionario”. Cohen nel suo editoriale paragona Renzi al “giovane Tony Blair” similitudine che sicuramente non dispiacerà all’ex sindaco fiorentino e subito dopo lo descrive come “uno showman che spinge verso il cambiamento con la forza del carattere”.
Il giornalista in particolare dimostra apprezzamento per “il linguaggio diretto, per il dinamismo e la trasparenza che hanno scosso vecchie abitudini” e anche per le sue ambizioni “la sua ambizione per l’Italia è di fare non meglio della Grecia, ma meglio della Germania” e sottolinea la necessità per l’Italia di una rottura con il recente passato. “E dopo gli anni di Berlusconi, l’Italia aveva disperatamente bisogno di questa scossa”.
Cohen per queste ragioni appoggia il Jobs Act e bolla le manifestazioni contrarie alla legge come l’espressione di chi “resiste al cambiamento” e la sponsorizzazione per Renzi è palese. “Lo slogan di Renzi è ‘cambiare o morire’. E in effetti l’Italia è un paese problematico, con la disoccupazione sopra il 13%, un debito pubblico che continua a salire e tre recessioni in sei anni”. Per questo l’Italia ha bisogno di cambiare. E Renzi è la persona giusta per spingere questo cambiamento”.
Più cupa e problematica appare invece l’analisi del britannico Financial Times, giornale legato al mondo della finanza. L’editorialista Simon Kuper infatti non parla direttamente dell’operato di Renzi, ma sottolinea come quella che sta vivendo l’Italia in questo momento non possa essere semplicemente considerata una semplice “crisi”, considerato che queste notoriamente hanno un termine mentre “l’Italia semplicemente prosegue nel suo declino, come nessun altro paese sviluppato dal 1945”.
L’analisi di Kuper si concentra principalmente sul problema della richezza: “I redditi reali sono oggi più bassi di 15 anni fa” e sopratutto sul problema di chi sta pagando più duramente le conseguenze di questa recessione ovvero “la generazione perduta dei giovani italiani”. La drammatica conseguenza secondo il Financial Times è la mancanza di speranza che porta “gli italiani a non credere più a niente, soprattutto alla politica”.