Il 16 dicembre Google disindicizzerà tutti i contenuti dei piccoli e grandi giornali spagnoli dal suo popolare servizio Google News e abbasserà le saracinesche in Spagna, impedendo agli utenti di utilizzare il servizio che, ad oggi, è attivo in 70 edizioni internazionali e copre 35 lingue diverse.
È questa la risposta di Big G, alla c.d. “link tax”, la nuova legge approvata nei mesi scorsi in Spagna che impone a chiunque pubblichi un link o una breve citazione di un articolo di giornale di pagare un “equo compenso” all’editore.
“GoogleNews è basato sulla indicizzazione di contenuti informativi – da quelli dei grandi giornali a quelli dei piccoli blog – e non raccoglie alcun genere di pubblicità sulle sue pagine con l’ovvia conseguenza che, per noi, il rispetto della nuova legge semplicemente non sarebbe sostenibile”.
È così che Google spiega, attraverso un post sul suo blog ufficiale, la decisione sofferta di chiudere Google News in Spagna.
Qualcuno, certamente, nelle prossime ore scriverà che si tratta di una provocazione e di un ennesimo atto di forza di Big G contro le leggi europee e guai, naturalmente, ad escludere che all’origine della decisione ci sia anche lo scontro culturale, ormai da anni, sotto gli occhi di tutti, tra vecchio e nuovo continente, tra chi è spaventato dalle conseguenze della diffusione di Internet e, in generale, delle nuove tecnologie e tra chi nella new economy – essendosi mosso per primo ed avendoci investito cifre a tanti zeri da non riuscirli più a contare – ha acquisito ormai una posizione di straordinario vantaggio.
Ma il punto non è questo o, almeno, quanto sta accadendo in Spagna non può essere ridotto a questo e derubricato a “provocazione” di un gigante contro le leggi di uno Stato.
Il punto è che la legge spagnola è davvero antistorica, miope, anacronistica e la scelta di Google – conta poco che la si consideri giusta o sbagliata – mette in evidenza una cruda verità: se la “ricetta spagnola” non è sostenibile per un gigante come Google, a maggior ragione, non sarà sostenibile per chi volesse provare a lanciare la “Google” del prossimo decennio domani mattina, partendo dal vecchio continente, né per le centinaia di editori che, sempre di più, utilizzano e riutilizzano link e citazioni di contenuti altrui, facendo della diffusione dell’informazione il proprio mestiere e la propria attività d’impresa.
Inventarsi – perché questo è avvenuto – un diritto connesso aldiritto d’autore per chi non utilizza un’opera altrui ma, semplicemente, suggerisce agli utenti di tutto il mondo di fruirne significa piegare la legge sul diritto d’autore – che ci si dimentica troppo spesso è nata per massimizzare la circolazione della cultura e delle informazioni – ad una finalità innaturale, diametralmente opposta alla sua ragion d’essere.
È per questo che è importante leggere con estrema attenzione la “lezione spagnola” e guardare tra le pieghe della reazione di Google, al riparo da ogni posizione preconcetta, da ogni antagonismo culturale e, soprattutto, dalla logica demolitiva dei giganti del web che, purtroppo, troppo spesso, sta, negli ultimi mesi, ispirando azioni e riflessioni politiche e giudiziarie nel vecchio continente.
Stiamo – forse senza accorgercene – perdendo più tempo a ragionare su come zavorarre e demolire gli attuali giganti del web di oltreoceano che a riflettere su come fare in modo che i prossimi giganti del web nascano in Europa ed abbiano nel loro patrimonio genetico la straordinaria forza ed energia che viene da una storia ricca di genialità, creatività e cultura.
Bisognerebbe pensare più a costruire il futuro europeo che a demolire il presente statunitense e bisognerebbe evitare di moltiplicare leggi, leggine e diritti d’autore nel tentativo velleitario di richiamare Google e gli altri Big della rete di oggi all’ordine, per scongiurare il rischio di cadere vittima di “fuoco amico”, perché, naturalmente, la parcellizzazione dei diritti d’autore e la moltiplicazione delle regole, zavorra, appesantisce e complica la vita anche – e, forse, anzi, soprattutto – alle più piccole e giovani imprese europee.
Google – come racconta la vicenda spagnola – può permettersi il lusso di abbassare le saracinesche di un servizio in un intero Paese senza che, probabilmente, i suoi azionisti neppure se ne accorgano mentre qualsiasi altra impresa spagnola che abbia deciso di costruire il suo business sull’indicizzazione e la ricerca di news, rivolgendosi solo o prevalentemente al mercato spagnolo, il primo gennaio – quando la nuova legge entrerà in vigore – dovrà forse prendere atto che il proprio modello di business è stato sgretolato e il suo futuro non esiste più.
Stiamo continuando a segnare goal nella porta sbagliata, anzi autogoal.
La vicenda della link tax appena passata in Spagna e della quale, qualcuno, in altri Paesi europei – incluso, probabilmente, il nostro – sembra infatuato, ricorda, infatti, da vicino quella della recente sentenza con la quale la Corte di Giustizia ha ordinato a Big G ed agli altri gestori dei motori di ricerca di disindicizzare, a semplice richiesta dell’interessato, qualsiasi contenuto pubblicato sul web a tutela del c.d. diritto all’oblio.
Anche in quel caso, qualcuno ha esultato perché si era richiamato Google all’ordine ed al rispetto delle regole europee ed anche in quel caso non ci si è accorti che si trattava, in realtà, di una sconfitta mascherata da vittoria, perché si era di fatto consegnato a Big G, il diritto di decidere cosa i cittadini di tutta Europa possano sapere o non sapere su una determinata persona.
Il rischio è che si continui a perdere pensando di vincere e che il desiderio di vedere annientato chi si è identificato come un nemico sia più forte di quello di veder vincere gli amici.
Le regole – prime tra tutte quelle antitrust – esistono e vanno applicate senza sconti a chiunque provi a violarle mettendo a repentaglio la libera concorrenza specie sui mercati del futuro ma non si può trasformare una partita di mercato in uno scontro politico-culturale globale nel quale rischiano di non esserci vincitori ma solo uno sconfitto: il nostro futuro.