A volte ritornano, magari anche dopo settant’anni. Ed ecco che la galassia dell’estrema sinistra italiana si arricchisce di una nuova sigla.
La vera notizia, però, è che non si tratta dell’ennesima scissione con conseguente nascita del solito micropartito che a stento riesce a presentarsi alle elezioni.
Stavolta ci troviamo di fronte ad un’iniziativa opposta, tesa cioè a procedere verso una logica inclusiva e unitaria. E quale nome poteva essere più adeguato di Partito Comunista d’Italia per provare di riunire finalmente tutti i nostalgici della falce e martello sotto un’unica sigla?
Partito Comunista e cenni storici sulla sinistra
Giova far menzione, a tal proposito, di qualche cenno storico. Il vecchio PCdI nacque nel 1921, in seguito alla celebre scissione di Livorno (dove si teneva il congresso del Partito Socialista Italiano) da parte dei militanti dell’area radicale del partito – tra questi Amedeo Bordiga, Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Ruggiero Grieco – che si recarono presso di teatro San Marco dove fondarono il Partito Comunista d’Italia.
Questo, a partire dal 1943, divenne Partito Comunista Italiano, che in seguito si impose come principale forza di opposizione per tutta la Prima Repubblica, fino a quando il congresso della Bolognina – nel febbraio 1991 – ne sancì la trasformazione in Partito Democratico della Sinistra. L’ala più ortodossa del partito, che non volle rinunciare alla parola “comunista”, diede vita al Partito della Rifondazione Comunista.
Rifondazione Comunista e Governo Prodi
Quest’ultimo ha subito nel corso della sua storia decine di fuoriuscite e di scissioni. Tra le più significative, vale la pena ricordare – oltre all’abbandono da parte dei vendoliani nel 2009 – quella del 1998, quando la sfiducia al governo Prodi (per un solo voto) votata anche da Rifondazione provocò la defezione di un gruppo di parlamentari – capitanati da Oliviero Diliberto e Armando Cossutta – i quali fondarono il Partito dei Comunisti Italiani (Pdci), che sostenne negli anni a venire i governi di centrosinistra guidati da Massimo D’Alema e da Giuliano Amato.
Il simbolo del Partito Comunista
Dopo sedici anni, arriva proprio dai Pdci la proposta di mettere insieme le forze, riproponendo una sigla nella quale più o meno tutti i comunisti italiani si identificano. Dal comunicato a firma del segretario nazionale Cesare Procaccini (al quale Diliberto ha passato il testimone dopo tredici anni di leadership indiscussa), emerge infatti “la necessità di proseguire con determinazione nel processo di ricostruzione di una soggettività comunista capace di ridare rappresentanza politica alle istanze del mondo del lavoro e delle masse popolari”, una necessità che il Comitato Centrale del partito (altro retaggio particolarmente evocativo) ha deciso di soddisfare “dando vita al Partito Comunista d’Italia, quale evoluzione dell’esperienza del PdCI e scelta a ciò funzionale”.
Il simbolo (che ricorda molto quello del vecchio Pci) è già pronto: molto essenziale, con sfondo bianco e la dicitura “Ricostruire il partito comunista” in alto. In tutta Italia, a breve, si terranno iniziative mirate proprio a diffondere sul territorio il progetto di ricostruzione del Partito Comunista. La prima è già in programma per il 13 dicembre, a Frosinone, dove interverranno anche esponenti di Rifondazione Comunista.
Obiettivo: aggregazione
L’esigenza di aggregare i partiti della sinistra nasce probabilmente anche dall’esito positivo che iniziative analoghe hanno conseguito oltreconfine. Se infatti proviamo a dare uno sguardo in chiave comparata alle altre realtà europee, assistiamo a un vero e proprio boom delle formazioni della sinistra radicale. Se si votasse domani, in Grecia e Spagna vincerebbero a man bassa rispettivamente Syriza e Podemos, i due partiti anti-troika (ma non anti-Ue) che raccolgono crescente consenso tra i ceti medio-bassi ponendosi allo stesso tempo come argine rispetto all’affermazione di soggetti antieuropeisti ma xenofobi che raccolgono un consenso crescente ma finora limitato.
Staremo a vedere fino a che punto l’ambiziosa finalità di ricostruire un partito comunista (progetto che richiede un inevitabile contenuto dottrinario e ideologico) potrà coincidere con le intenzioni dei promotori della lista Tsipras, che guardano alle suddette realtà europee, legate ad una piattaforma più aperta e movimentista. In ogni caso, lo sforzo che si annuncia più duro è quello di ricompattare le varie anime dell’arcipelago marxista, il cui continuo logoramento è quasi sempre scatenato, più che da questioni di merito, da personalismi e antipatie reciproche.