Settimana di tonfi per i mercati europei, spinti al ribasso da due fattori principali: il primo è il crollo del prezzo del petrolio, che mostra i chiari segnali del (più volte annunciato su queste pagine) rallentamento delle economie; il secondo, minore rispetto al primo, è il timore che il governo greco possa cadere questa settimana.
Il presidente dell’esecutivo greco, Tsipras, ha infatti deciso di evitare mesi di incertezze e avviato la procedura per l’elezione del capo dello Stato in anticipo, prima della fine dell’anno, nella fattispecie nella settimana appena iniziata.
La carica di presidente della Repubblica è largamente cerimoniale, ma se non dovesse essere eletto al terzo scrutinio, l’effetto sarebbe lo scioglimento del Parlamento e quindi elezioni politiche. Dato che servono 180 voti su 300 e il premier Samaras è lontano una trentina di voti da tale soglia, la probabilità che non si giunga ad accordo è alta. Altrettanto alta è la possibilità che le elezioni vengano vinte dalla federazione della sinistra Syriza di Alexis Tsipras, contrario alla Troika.
I mercati hanno davvero paura di Tsipras, come molti hanno commentato nell’ultima settimana? La risposta è no o almeno non troppo, per diverse ragioni. La prima è che Tsipras molto probabilmente avrà una maggioranza relativa, non sufficiente a governare da solo. Per questo, se dovesse diventare premier, molto probabilmente finirà per annacquare almeno un po’ il suo programma elettorale fatto di spesa pubblica e ristrutturazione del debito pubblico.
La seconda è che Tsipras ha da tempo abbandonato posizioni tipiche di altri clown europei come l’uscita dall’euro. Tsipras ha probabilmente riconosciuto che si tratta di un’arma spuntata (come vedremo tra poco, e che, in ultima analisi, priverebbe la Grecia di uno scudo importante contro le tempeste: senza l’euro, insomma, negli ultimi sei anni sarebbe andato pure peggio di come è andata (e ce ne vuole).
La terza è che in questi anni l’Eurozona ha posto un cordone sanitario attorno alla Grecia, sicché se Atene dovesse crollare gli effetti sul resto dell’area sarebbero marginali, almeno nel breve periodo. In poche parole, se la Grecia uscisse dall’euro, il resto dell’area indicherebbe ad Atene la porta e poi si godrebbe lo spettacolo.
Il piano di Tsipras, per quanto comunque radicale e portatore d’incertezze, è probabilmente più assennato: la cura Troika, per quanto enormemente depressiva, ha dato alla Grecia conti pubblici più solidi, in particolare un bilancio in pareggio se non in surplus (ovviamente parliamo di saldi primari, al netto degli interessi).
Ciò significa che la Grecia potrebbe decidere di cancellare il debito pubblico senza avere troppi problemi nel breve periodo, poiché ha le risorse per non essere costretta a contrarre nuovo debito. Si tratta di un’arma importante (che, ironicamente, Tsipras riceverebbe dalle mani dell’odiata Troika), visto che tali debiti sono in gran parte nelle pance dei partner europei.
Se Tsipras dovesse riuscire a formare un governo e se dovesse riuscire a imporre la propria linea, potremmo assistere al primo caso in cui un Paese riesca a dire “NO” alla Troika e quindi assistere ad un primo tentativo di vedere l’Europa deviare verso qualcosa di diverso dall’austerità teutonica degli ultimi anni.
Il piano potrebbe riuscire come far sprofondare la Grecia (e forse non solo lei, nel lungo periodo) nel baratro: la Troika potrebbe decidere di mediare col nuovo governo greco, e accettare una ristrutturazione del debito; al contrario potrebbe andare allo scontro, isolando la Grecia, al fine di vederla collassare e dare l’esempio agli altri Paesi “recalcitranti”. Nel breve periodo, comunque, gli scossoni “greci” dovrebbero essere limitati.
Gli esiti sono molti e non tutti positivi, ma è indubbio vedere il caso greco come interessante per il futuro dell’Europa intera, formata da tanti Paesi troppo piccoli singolarmente per sopravvivere in un mondo di superstati. L’Unione è necessaria, ma bisogna imparare ad essere uniti.
L’agenda macroeconomica, l’ultima di un certo interesse per il 2014, prevede martedì il rilascio degli indici dei direttori degli acquisti: nessuna novità di rilievo, con Europa nel suo insieme debolmente positiva, e Francia sempre sotto i 50 punti che segnano la separazione fra espansione e contrazione economica. L’indice ZEW che misura la fiducia degli investitori tedeschi dovrebbe segnare un certo miglioramento.
Mercoledì sarà giornata di inflazione: in Europa attesa la solita debole crescita dei prezzi (+0,3% annuo in totale, +0,7% depurato dagli elementi più volatili). Per gli USA gli stessi indici sono attesi a +1,4% (in calo) e 1,8% (stabile), concedendo forse più tempo alla Fed per far ripartire i tassi di interesse. Il Comitato per la politica monetaria FOMC tirerà le sue conclusioni in serata.
Giovedì la fiducia delle imprese tedesche dovrebbe essere vista stabile e moderatamente positiva; dagli Stati Uniti l’indice della Fed di Philadelphia, che misura lo stato di salute della manifattura, dovrebbe segnare una contrazione pur rimanendo in territorio positivo.
Venerdì l’Italia si augura di leggere un rimbalzo degli ordini all’industria, da tempo in depressione.