La politica ellenica ha sempre avuto legami storici col nostro paese. Basti pensare alla vicenda del Partito Comunista “dell’interno”, che si rifaceva evidentemente alla tradizione del comunismo nostrano. Negli ultimi anni però si sono delineate delle dinamiche politiche veramente molto simili alle nostre. Che in certi casi hanno portato Atene ad anticipare Roma. Nell’ordine:
- il movimento che si è preso l’onere di avviare il risanamento economico e finanziario è stato travolto dalle urne, fino a diventare un soggetto del tutto marginale e subalterno del panorama politico nazionale (il Pasok in Grecia, ex perno del bipolarismo e ormai junior partner di Nuova Democrazia, e Scelta Civica in Italia).
- Un movimento di destra dalle caratteristiche quasi inedite ha reso irrilevante un altro polo di destra potenzialmente concorrente (Alba Dorata che estromette dal parlamento Karatzaferis e il Raggruppamento Popolare Ortodosso, sulla falsariga di Salvini che rende del tutto irrilevante Giorgia Meloni).
In un quadro così siffatto la Grecia, anche questa volta come l’Italia, si appresta ad eleggere il suo Presidente della Repubblica. Ed anche questo volta Atene viene prima di Roma, perché un parlamento così balcanizzato come quello di Piazza Syntagma potrebbe dar vita ad ulteriori dinamiche analoghe alle nostre. E’ nota l’intenzione da parte del governo Samaras di proporre come successore di Papoulias l’ex commissario europeo all’ambiente Stavros Dimas. Un esponente di Nuova Democrazia come il primo ministro. Nella politica greca vi era la lungimirante usanza di assegnare all’opposizione il ruolo di Presidente della Repubblica, attraverso un entente cordiale tra i partiti. Oggi Samaras però ha un sistema politico del tutto diverso da quello post-colonnelli, e si sente legittimato a proporre un esponente del suo partito per arginare le forze anti-sistema. Che secondo la sua logica comprendono anche Syriza. In questo modo però commette un errore politico e rischia seriamente di riportare il paese alle urne se entro il 29 di dicembre non si sarà risolta questa grana.
Per uscire dall’impasse, il primo ministro però può prendere un’iniziativa destinata a farlo entrare nella storia: aprire a Syriza, e proporre un loro esponente per la presidenza della Repubblica. In questo modo otterrebbe due cose:
1) normalizzare e “costituzionalizziare” appieno Syriza come polo d’opposizione “ufficiale”, in un’ottica in cui se il premier è di destra per prassi il capo dello stato spetta alla sinistra.
2) mettere in difficoltà Alexis Tsipras rendendo manifesta all’opinione pubblica la sua volontà di ritornare alle urne (e non di risolvere le problematiche istituzionali del paese).
Insomma, una mossa che segnerebbe una cesura nella storia politica nazionale. Ma che al tempo stesso garantirebbe meno strappi e meno timori di futuri “salti nel buio” per la politica greca. Una realtà del tutto diversa da quella italiana, dove quasi sempre il partito maggioritario del paese ha scelto un proprio esponente per il Quirinale (se escludiamo il caso del ’48 e del ’55, con Merzagora abbandonato sulla via del neo-atlantismo). Ma trattasi pur sempre di sistemi politici in evoluzione, che potrebbero insegnarsi alcune cose reciprocamente. Anche come non cadere in tranelli ed errori.