Borse in vistoso recupero nella settimana che precede le festività, spinte ancora una volta dalla Federal Reserve, che sostituisce la locuzione “considerevole lasso di tempo” con la parola “paziente”, sostituzione che però non è stata percepita dagli investitori come un reale cambio di percorso, e che in sostanza sposta il primo aumento dei tassi di interesse almeno al secondo trimestre del 2015.
Anche se il quantitative easing è terminato, almeno nella prima parte dell’anno le borse potranno ancora godersi una politica monetaria statunitense accomodante, cui potrebbe aggiungersi anche quella della Banca centrale europea, visto che il piccolo bazooka di Mario Draghi, il TLTRO e il piano di acquisto di strumenti finanziari sul sottile mercato degli ABS, non sta portando in maniera sufficientemente veloce il bilancio di Francoforte verso il target fissato dal suo presidente. Uno dei temi che dovrebbero interessare il 2015 dovrebbe rimanere il rafforzamento del dollaro statunitense, cosa che sta già avvenendo e sta manifestando conseguenze anche molto complicate.
Uno dei motivi del crollo dei prezzi del petrolio è proprio il rafforzamento della valuta di riferimento nelle transazioni petrolifere, oltre ovviamente all’eccesso di offerta combinato con una domanda in calo a causa dei timori di recessione globale.
Il calo dei prezzi, in realtà, riguarda molte materie prime, sempre per via della risalita del dollaro sul mercato valutario, e questo rischia di innescare un altro dei timori per l’economia globale nel 2015, di cui abbiamo già avuto un assaggio al termine del mandato di Ben Bernanke. Da diversi mesi infatti stiamo assistendo ad un deprezzamento di praticamente tutte le valute emergenti, fatto che porta con sé pressioni inflazionistiche in realtà già caratterizzate da un quadro economico (e in certi casi, come quello russo, anche del quadro geopolitico) piuttosto debole.
Questo vale sia per paesi, per così dire, “prudenti” come la Cina sia ovviamente per altri Stati che si sono comportati meno bene negli ultimi anni di vacche grasse: la fine della politica monetaria accomodante negli Stati Uniti infatti si accompagna sempre con un deflusso di capitali finanziari dai paesi più deboli, i quali quindi si ritrovano a fare i conti con risorse sempre più scarse, cui di solito fanno fronte con strette fiscali e strette monetarie.
Questo significa recessione per quei paesi che negli ultimi anni sono stati il driver fondamentale della crescita globale, gli emergenti: si prevede quindi una debolezza che rischia di rovinare molti piani di ripresa a livello locale, in particolare nell’Unione Europea, dove da tempo si annuncia ogni anno una ripresa che in realtà non arriva mai. Anche per il 2015 molti governi e centri studi hanno annunciato un ritorno alla crescita, tuttavia le difficoltà dei paesi emergenti rischiano di compromettere queste speranze.
La debolezza globale in arrivo sarà solo parzialmente controbilanciata da eventuali manovre di stimolo cinese e da un proseguimento della crescita statunitense, che però non è più in grado da tempo di trascinare da sola quella mondiale per via di una progressiva chiusura della sua economia.
L’Europa, insomma, che ha alle porte di casa una guerra ed un vicino molto ingombrante, dovrebbe provare a trovare la risposta per la crescita dentro di sé. La via d’uscita proposta, però, è sbagliata: parliamo del piano Juncker da 315 miliardi del Monopoli, che difficilmente avrà effetto a causa delle elevatissimo grado di leva richiesta su fondi di partenza decisamente miseri.
Dall’altro lato, non sembra che gli Stati abbiano sufficiente margine di manovra (leggi: austerità) per impostare programmi di stimolo, e quelli che potrebbero, come la Germania, non sembrano intenzionati ad attuarli. Un eventuale stimolo monetario da parte della Banca centrale europea potrebbe essere d’aiuto, se il cavallo decidesse di ricominciare a bere, però non può essere una soluzione di lungo periodo: per quello servono riforme strutturali, che però procedono a rilento, talvolta ostacolate da riforme costituzionali probabilmente inutili, visto che l’attività legislativa si è dimostrata efficiente e veloce durante la gestione dell’emergenza del 2011, per cui, a voler fare le cose, sembra che l’assetto istituzionale attuale possa funzionare. Insomma, ci si potrebbe concentrare su priorità più impellenti e indirizzarle bene, non in fretta, invece di impelagarsi su un lungo iter di riforme costituzionali (peraltro probabilmente già impaludate).
Parliamo ovviamente dell’Italia. I governi che si sono via via succeduti non sembrano essere stati in grado di spingere l’interesse generale su quella particolare (talvolta volutamente definito “prioritario”, mentre secondo altri vocabolari vengono definiti “corruzioni”, “clientelismo” e altri mali collegati), e questo ha provocato un impoverimento del capitale umano italiano anche da un punto di vista civile e morale, non solo economico.
Si tratta di problemi di lungo periodo che non è facile risolvere, specialmente quando non sembra esserci la volontà di farlo. A tutte queste situazioni già in via di sviluppo, potrebbero aggiungersi anche varie ed eventuali, come ad esempio la salita al potere formazioni, moderate o meno, che abbiano la volontà di ridiscutere molto di ciò che è stato fatto in Europa. Si va da Syriza in Grecia, che potrebbe diventare primo partito già dal questo inverno e mettere sul banco un piano di “controriforme” credibili, a formazioni più nere che invece potrebbero imporre cambiamenti più catastrofici (e meno assennati e quindi fattibili).
Non vogliamo essere menagrami, o, per dirla con un espressione più alla moda, dei gufi: ci stiamo limitando a rilevare rischi che già stanno emergendo e che necessitano di essere riconosciuti e monitorati onde poter prendere le contromisure più appropriate per tempo, ed evitare la solita, immancabile, sempre improvvisa, sempre prevedibile (e prevista) emergenza. Anche il 2015 rischia di essere un anno complicato, e la realtà non può essere manipolata a suon di slogan. Come sempre, essere preparati ad affrontare difficoltà è sempre meglio che essere colti di sorpresa dai guai.
Buon 2015 dal Termometro Finanziario, e buona fortuna.