Siamo ormai in piena “campagna presidenziale”. Nei corridoi parlamentari non si parla di altro, i partiti pianificano quotidianamente strategie e tattiche, i bookmakers si divertono a quotare i potenziali candidati a ricoprire la prima carica dello Stato. In questo clima, non possono mancare le pillole di Dagospia, sempre pronta a svelare indiscrezioni e retroscena anche sul mondo della politica.
L’ultima fresca “dagonews” rivela una natura sovranazionale dell’ “affaire Quirinale”. L’Italia continua a rimanere un osservato speciale in UE, e le imminenti elezioni per la Presidenza della Repubblica costituirebbero un banco di prova non solo, come è noto, per la tenuta del Patto del Nazareno in vista delle riforme, ma anche per i rapporti tra il governo Renzi e Bruxelles, in concomitanza con la fine del semestre di presidenza europeo.
L’ingerenza dei potenti burocrati europei negli affari interni dei singoli stati non costituisce certo una novità. Recentemente, Jean-Claude Juncker è intervenuto con decisone a proposito del possibile scioglimento anticipato (per legge) del Parlamento greco nel caso, entro il 29 dicembre, non dovesse essere eletto il nuovo Presidente della Repubblica. Il nome è quello di Stavros Dimas, sostenuto da Nuova Democrazia e Pasok, ma mancano i voti, e in caso di elezioni anticipate Syriza, il partito della sinistra radicale Syriza, vincerebbe quasi sicuramente le elezioni. Ebbene, Juncker ha implorato i parlamentari greci di trovare una soluzione affinché il paese non finisca “nelle mani degli estremisti” salvo poi correggere goffamente il tiro affermando che si riferiva ad Alba Dorata.
Tornando in Italia, è fin troppo evidente che le preferenze della trojka per il dopo-Napolitano si concentrino su una rosa di nomi autorevoli, moderati e assolutamente trasversali. Sarebbe poi ulteriore elemento gradito che il nuovo inquilino del Quirinale sia votato dall’attuale maggioranza, e non da un ipotetico asse con grillini e Sel. Su quest’ultima ipotesi, sembrano non esserci difficoltà, visto che lo stesso Matteo Renzi ha dichiarato che l’interlocutore primario rimane Forza Italia. E proprio Forza Italia, per mezzo di Silvio Berlusconi, si è dimostrata disponibile a votare un nome condiviso, a prescindere dall’estrazione politica di provenienza. Alla luce di ciò, dovrebbero calare le quotazioni di Romano Prodi, nome autorevole, apprezzato in Europa ma detestato da Berlusconi e i suoi. C’è chi dice anzi che uno dei punti fermi alla base del Patto tra Renzi e il Cavaliere riguardi proprio l’assoluto divieto di proporre l’ex leader dell’Ulivo (peraltro già tradito dai 101 un anno e mezzo fa) per la Presidenza della Repubblica.
Dunque su chi puntare? Dagospia afferma che il nome che Napolitano predilige è quello di Mario Draghi, numero uno della Banca Centrale Europea. Economista affermato, sufficientemente bipartisan, indiscutibilmente autorevole: un profilo ideale per gli standard dell’Europa che conta. Draghi, a quanto sembra, potrebbe però palesare una sua disponibilità soltanto qualora si individuasse una confluenza sul suo nome sufficientemente sicura per garantirgli un’elezione. In sostanza, l’ex governatore di Bankitalia (quotato a 17 dai già citati bookmakers) non gradirebbe colpi di coda improvvisi e imprevisti. E per una consacrazione in via definitiva, starebbe lavorando alacremente affinché possa “scendere in campo” per sostenere la sua candidatura nientemeno che Angela Merkel, visto che – sempre secondo Dagospia – i tedeschi, che pure avevano fortemente voluto Draghi a Francoforte, sarebbero ora intenzionati a sbarazzarsene. Ma nessuno si è chiesto se un sostegno così convinto e solenne da parte dei tanto odiati tecnocrati non possa poi rivelarsi un boomerang?