C’è omogeneità di valutazioni e giudizi tra il Garante per la privacy italiano e Google in relazione alle richieste di de-indicizzazione di pagine web dai risultati delle ricerche a tutela del c.d. diritto all’oblio.
Nella sua newsletter di questa mattina, infatti, il Garante Privacy riferisce che in sette casi su nove, nei quali Google aveva respinto la richiesta di de-indicizzazione presentatagli dagli interessati e questi ultimi l’avevano, quindi, riproposta al Garante, gli uffici dell’Authority sono arrivati alla stessa conclusione di Big G, negando agli interessati il diritto all’oblio.
Nei casi esaminati, infatti, tanto secondo Google che secondo il Garante, l’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti – tutte vicende processuali che coinvolgono gli interessati che avrebbero voluto farle scomparire dal web o, almeno, dai motori di ricerca – deve essere ritenuto prevalente rispetto a quello alla privacy dei singoli.
E’ un dato confortante – anche se non sufficiente a risolvere i problemi aperti dalla recente decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea – quello che emerge dalla newsletter del Garante perché conferma il rigore con il quale Google sta, evidentemente, valutando, caso per caso, le segnalazioni che gli vengono sottoposte, ponendosi – probabilmente al di là di quanto gli competerebbe e, forse, converrebbe – seriamente il problema di scongiurare il rischio che in nome del diritto alla privacy dei singoli, il diritto all’informazione ed alla storia dei più non finisca con l’essere triturato o indebitamente compresso.
I due casi nei quali – a differenza di Google – il Garante Privacy ha ritenuto fondate le richieste di ordinare la disindicizzazione dei contenuti richiesta dagli interessati, d’altra parte, non inducono a rivedere tale conclusione giacché, a leggere quanto riportato nella newsletter, sembrerebbe si sia trattato di contenuti che più che essere rimossi in nome del diritto all’oblio non avrebbero mai dovuto essere pubblicati perché non essenziali ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca e di quello all’informazione.
Ma questo genere di valutazioni, Big G, davvero non può farle.
Bene così, dunque.
Bene che tanto l’Autorità per la privacy che il più grande dei motori di ricerca mostrino di avere tanto a cuore la libertà di informazione, il diritto di cronaca e il diritto alla storia.
Resta, però, il dubbio – almeno per quanto riguarda Big G – che superata tale prima fase di straordinaria attenzione nella valutazione delle richieste di disindicizzazione – specie se i numeri di tali richieste continuassero ad aumentare – i Googlers saranno davvero capaci di non abbassare le guardia e mantenere inalterato il rigore con il quale, evidentemente investendo tempo e risorse, sin qui sono riusciti a farsi “promuovere” dal Garante privacy quali “giudici” seri ed obiettivi nel tracciare la sottile linea di confine tra la privacy dei singoli ed il diritto a sapere della collettività.