Tripadvisor sotto la scure dell’Antitrust ma sul banco degli imputati finisce anche un pezzo del web
Tripadvisor, il popolare sito di recensioni turistiche non può “promettere” ai propri utenti la veridicità e l’autenticità di opinioni, giudizi e valutazioni che gli utenti medesimi attribuiscono a strutture alberghiere e ristoranti perché non è in grado di garantire che sia così davvero.
E’ questa la sintesi della decisione con la quale, dopo una lunga istruttoria, l’Autorità antitrust nazionale ha inflitto, ieri, a Tripadvisor una multa salata da 500 mila euro.
Le conclusioni cui sono giunti i componenti dell’Authority italiana non sorprendono perché sono sostanzialmente le stesse alle quali si era già pervenuti in Inghilterra quasi tre anni fa, quando la competente Authority di Sua Maestà aveva ordinato a Tripadvisor di smettere immediatamente di utilizzare espressioni che inducessero gli utenti a ritenere che le recensioni sulla piattaforma fossero effettivamente tutte reali, oneste ed affidabili.
Sorprende semmai di più che a seguito di quella decisione Tripadvisor abbia scelto di adeguare la propria pubblicità solo in Inghilterra continuando, altrove, a promuovere la propria piattaforma come uno strumento di aggregazione di “recensioni vere e autentiche, di cui ti puoi fidare”.
Ma, a ben vedere, la vera notizia non è né la maxi-multa inflitta dall’Antitrust a Tripadvisor, né la circostanza che quest’ultima dovrà ora cambiare, anche in Italia, claim e formule promozionali.
A scorrere le oltre 25 pagine del provvedimento dell’Authority, infatti, si ha l’impressione che nel corso del procedimento, sul banco degli imputati, sia salito l’intero sistema dei feedback dal basso che, nella sostanza, finisce con l’essere giudicato inattendibile e inaffidabile.
E’ questa, forse, la vera notizia.
E’ la metrica del web per eccellenza, quella affidate a stelle, palle, palline e like che, nella vicenda di Tripadvisor, viene considerata fallace e suscettibile di manipolare le dinamiche di mercato e, attraverso esse, il libero gioco della concorrenza.
Tripadvisor sbaglia quando invita – probabilmente con troppa enfasi – i propri utenti a fidarsi troppo dell’autenticità e sincerità delle recensioni pubblicate sulle proprie pagine e bene, quindi, ha fatto l’Authority a richiamarla all’ordine ma, sta di fatto che – pubblicità o non pubblicità – dalle scelte di hotel e ristoranti, a quelle dei regali di natale o degli acquisti nelle bacheche del sito d’aste online più famoso del mondo, passando per i colossi dell’ecommerce di ogni genere, per le grandi piattaforme di musica e di app ed arrivando fino a cliniche, medici ed ospedali, non c’è, ormai, prodotto o servizio disponibile sul mercato online che non sia recensito e referenziato dal basso o, almeno, apparentemente dal basso.
Ed è ovvio, quindi, che quando si sfogliano gli atti di una sorta di involontario “processo ai feedback”, sorgano mille domande sul futuro di questo straordinario fenomeno e sulle responsabilità di chi, a vario titolo, ne ha compromesso l’immagine, la reputazione e l’affidabilità.
Il meccanismo di reputation online per eccellenza – ovvero le opinioni degli utenti – sembrano, infatti, godere di una pessima reputazione.
Ma di chi è la colpa e, soprattutto, si sta facendo abbastanza per frenare un fenomeno che avrebbe potuto e dovuto rappresentare un elemento di forza dei mercati online mentre rischia di trasformarsi nel loro tallone di Achille?
Possibile che ci si debba davvero rassegnare all’idea che le forchette delle guide dei ristoranti di un tempo o le stelle e stelline di Stato di hotel ed alberghi offrano valutazioni e giudizi più puntuali ed affidabili di quelli di centinaia di milioni di utenti e consumatori?
E’ difficile dire se la soluzione stia nell’educazione civica digitale o in una guerra senza esclusione di colpi – legali e normativi si intende! – contro chi fa mercimonio di recensioni false, dopando ed alterando il gioco del mercato ma, forse, qualcosa si può e si deve ancora fare.
Non possiamo rassegnarci all’idea che il giudizio di un utente come noi – che non vuole e non deve venderci nulla – valga di meno di quello di chi legittimamente promuove il suo servizio o quello di chi lo ha pagato per promuoverlo solo perché, tra i giudizi degli utenti come noi, c’è il rischio si infiltrino occultamente valutazioni o giudizi a pagamento e, per questo, ingannevoli, decettivi e disonesti.
E’ giusto richiamare all’ordine chi, come Tripadvisor, ha fatto degli altrui giudizi la propria fortuna forse senza curarsi troppo di obiettività e affidabilità delle recensioni ma non basta.
Non è colpa di Tripadvisor se si recensiscono alberghi o ristoranti che non si sono mai visitati o se si stronca il futuro di un prodotto o di un servizio solo perché si è pagati per farlo da un concorrente del suo venditore.