La partita per il Jobs Act non si è fermata neanche a Natale. Il Consiglio dei ministri, ancora in corso, ha approvato il decreto attuativo che disciplina il contratto a tutele crescenti, la modifica dell’articolo 18 e i nuovi indennizzi in caso di licenziamento illegittimo. Sul tavolo anche il decreto che dovrebbe estendere l’Aspi: il provvedimento concederebbe le tutele dell’ammortizzatore sociale anche ai lavoratori fino ad oggi esclusi.
Il Consiglio dei ministri è stato caratterizzato da un clima molto teso, soprattutto in relazione alla questione articolo 18. A scontrarsi con il premier i tre ministri del Nuovo centrodestra (imbeccati dal falco Maurizio Sacconi) che chiedevano un superamento totale della norma contro i licenziamenti. Secondo le prime indiscrezioni, tuttavia, lo strumento del reintegro è venuto meno nel caso dei licenziamenti economici ingiustificati.
Sull’entità degli indennizzi l’esecutivo è ancora a lavoro. “Non voglio entrare nei dettagli tecnici. Stanno ancora discutendo nei tavoli di lavoro al ministero e a palazzo Chigi” aveva dichiarato Renzi nella mattinata di ieri. Sul tavolo del Cdm si discuterà anche dell’opting out: la possibilità del datore di lavoro di superare il reintegro del lavoratore scegliendo di pagare l’indennizzo ma più alto.
Sacconi: “O via articolo 18 o via governo per crollo credibilità”
Il superamento dell’articolo 18 è il nodo cruciale del Jobs Act. Il confronto sul tema resta sempre acceso. Un’ulteriore prova è arrivata ieri dal confronto a distanza tra Maurizio Sacconi, presidente della Commissione Lavoro, e Pippo Civati della minoranza Pd. Sacconi, tramite Twitter, aveva lanciato il monito: “Domani d-day della politica italiana. O via articolo 18 o via governo per crollo credibilità”. Polemico, Civati aveva reagito: “Secondo me, daranno retta a Sacconi, come al solito”. Intuibile dalle sue parole il timore e l’amarezza della minoranza del Partito Democratico, di dover fare i conti con un decreto più vicino ai desideri di Alfano ed Ncd che a quelli del mondo della sinistra.
Indennizzo economico da 4 a 24 mesi di retribuzione
Secondo quanto viene ipotizzato, l’indennizzo economico, nelle aziende con più di 15 dipendenti, andrà da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mesi di retribuzione. Resta il divario tra piccole e grandi imprese. Quelle sotto i 15 dipendenti erano già escluse dall’articolo 18. Per queste dovrebbe continuare a valere l’indennizzo variabile tra i 2,5 e i 6 mesi di retribuzione.
Una ulteriore differenziazione potrebbe arrivare per le aziende con più di 200 dipendenti. Per quanto riguarda il già citato opting out, il lavoratore riceverebbe un indennizzo maggiorato. In caso di conciliazione, l’indennizzo sarebbe invece più basso ma sarebbe esente da tasse.
Al tavolo del Cdm ci sarà anche il decreto attuativo della riforma dell’Aspi: verrà estesa ai collaboratori. Verrà allungata anche la durata del sussidio di disoccupazione forse addirittura fino a 24 mesi. Intanto il segretario della Uil, Carmelo Barbagallo, avverte: “Bisogna evitare errori che rischiano di danneggiare milioni di lavoratori. Con le nuove regole, più che un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti rischiamo di essere in presenza di un contratto a tempo determinato fortemente incentivato”.
Renzi: “Con Jobs Act più facile assumere, non licenziare”
Ma il premier Matteo Renzi sul Jobs Act ha da sempre le idee chiare. Ieri aveva ribadito: “Con Jobs Act sarà più facile assumere, non licenziare”.
Le nuove regole varranno soltanto per i nuovi assunti, coloro per i quali oggi “avere un contratto a tempo indeterminato sembra una chimera, il sistema sarà più semplice e flessibile”. La riforma si appresta così a cambiare il volto del mercato del lavoro in Italia. Un mercato che finora ha evidenziato una netta spaccatura fra le piccole e le grandi imprese. Una spaccatura che con il Jobs Act rischia invece di accentuarsi tra i giovani e i vecchi lavoratori.
Prima la linea di confine era segnata dalle tutele garantite ai dipendenti delle grandi imprese negate a quelli delle piccole. Adesso invece, grazie all’introduzione del contratto a tutele crescenti, è evidente che gran parte delle nuove assunzioni andranno a riguardare i giovani.
Un divario netto e che, secondo molti addetti ai lavori, non potrà essere di facile gestione. Solo un mese fa, l’ex ministro del Lavoro Elsa Fornero, aveva dichiarato: “So bene che l’impostazione è dire si comincia e poi si estende”. Parole alle quali hanno fatto seguito pochi giorni fa quelle del sottosegretario al lavoro del Governo Letta, Carlo Dell’Aringa: “Doppio regime può reggere nella fase transitoria ma non può durare 10 o 15 anni”. Sembra sia solo una questione di tempo dunque prima che le peculiarità del Jobs Act vengano estese a tutti i lavoratori, anziani e giovani.
Parte del Jobs Act non fa distinzione invece tra vecchi e nuovi assunti. Riguarda tutti i lavoratori. L’azienda potrà sorvegliare a distanza sugli impianti e sui dispositivi (telefoni e computer) usati dai propri dipendenti. Inoltre, l’azienda potrà ricorrere al demansionamento del proprio lavoratore: potrà assegnarli compiti al di sotto della sua qualifica.
L’esecutivo punta, grazie al contratto a tutele crescenti, a far aumentare le assunzioni di 800 mila unità nei prossimi tre anni. Un impulso non da poco per la nostra economia da troppo tempo in apnea.
I nuovi assunti, quelli senza articolo 18, andranno a costituire una minoranza nel mondo del lavoro ma potrebbero aumentare nel corso degli anni. Dovesse avere gli effetti che il governo Renzi auspica, il Jobs Act verrebbe esteso a tutti i lavoratori. Come paventato dalla Fornero e da Dell’Aringa.
Gli altri temi di discussione del Cdm
Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto che riguarda lo sviluppo della città di Taranto. È quanto si apprende mentre la riunione del Governo è ancora in corso. Il provvedimento riguarda l’azione di riqualificazione ambientale relativa all’impianto Ilva.