Jobs Act, Cuperlo: “La Consulta potrebbe fermarlo”
Gianni Cuperlo, sfidante di Matteo Renzi alle ultime primarie ed esponente di spicco della minoranza dem, continua a coltivare la speranza di uno stop al Jobs Act, che da poche settimane è ormai legge dello Stato. “La Consulta potrebbe intervenire sul Jobs Act”, ha detto Cuperlo in un’intervista a La Repubblica. “Ci sono rischi di costituzionalità e l’estensione ai licenziamenti collettivi è un eccesso di delega da parte del governo” e dunque “va corretto. Almeno su questo credo debba esserci un chiarimento”. Circa la possibilità che le modifiche apportate all’articolo 18 vengano estese anche ai dipendenti pubblici, Cuperlo è categorico: “Nel pubblico si entra per concorso e non ci sono licenziamenti economici. Esiste un tema di uniformità per alcuni diritti”.
Cuperlo: “Renzi è abile ma ha bisogno di un’orchestra”
Poi, un commento anche alle parole pronunciate ieri dal premier nel corso della conferenza stampa di fine anno: “Lui ha intuito la voglia di rottura col passato e il bisogno di speranza. Questa è la sua forza, ma il ritmo di cui parla ha bisogno di un’orchestra”. Secondo Cuperlo, Renzi ha “seguito un sentiero già battuto” con “sussidio al ceto medio-basso” e “sgravi fiscali alle imprese”, ma ciò non basta. Trascurare “diseguaglianze, investimenti e innovazione” è “come intonacare le pareti senza il tetto”. “Il peccato di Renzi – aggiunge Cuperlo – non è la troppa innovazione, ma l’opposto”. “Lui è abile”, conclude l’ex presidente del Pd, ma non può “fare la rivoluzione con la simpatia dell’Ancien règime. Perchè il ritmo conta, ma lo spartito conta di più”.
Jobs Act, Gotor (Pd): “E’ tremontismo di ritorno”
Ha espresso forti critiche sul Jobs Act anche il senatore Pd Miguel Gotor, che in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera ha parlato di “tremontismo di ritorno”. “È un cambiamento regressivo, un’assunzione fuori tempo delle dottrine liberiste di stampo tremontiano: lavoratori più ricattabili e conseguente riduzione dei salari”, ha affermato Gotor. La minoranza Pd l’ha votato perché “il governo ha posto la fiducia al Senato, dove la maggioranza si basa su sette senatori soltanto e una crisi al buio non avrebbe fatto bene all’Italia che ha bisogno di stabilità”. “Per la prima volta – prosegue il senatore – dietro lo stesso bancone avremo lavoratori con la medesima tipologia di contratto a tempo indeterminato, ma con tutele diverse in uscita, con una lesione del principio di uguaglianza” tacciabile di incostituzionalità. “Matteo Renzi continua baldanzosamente a ripeterci ‘vi arrenderete alla realtà’, ma questo non avverrà: perché i nostri sono i convincimenti propri della cultura riformista italiana”, ha aggiunto. “Ci eravamo impegnati sul modello flexicurity della Danimarca”, invece “non avendo i soldi, stiamo veleggiando verso il Portogallo e la Grecia”.