Con l’avvicinarsi del cenone di capodanno, spuntano fuori come funghi esperti di tutto (e di niente) che formulano insopportabili pistolotti sull’anno che è stato, e soprattutto sull’anno che verrà. Noi che non sappiamo leggere le palle di cristallo, più modestamente, decidiamo di uniformarci al sentir comune. Ecco qui, allora, il prontuario del 2014 dell’italiano che, nel bene o nel male, ha rappresentato il Belpaese nel mondo: Matteo Renzi.
#Enricostaisereno, Palazzo Chigi. “Creiamo un hashtag ‘enricostaisereno’, nessuno ti vuole prendere il posto” diceva il neo-segretario del Pd al premier Letta il 18 gennaio scorso. Una dichiarazione impervia, che con ogni probabilità entrerà nella storia come emblema della “pugnalata alle spalle” di hitleriana memoria. Infatti, dopo qualche giorno e qualche altra sparata mediatica (“c’è Letta, rimanga Letta”, “la staffetta Letta-Renzi non è assolutamente all’ordine del giorno”), Zac: fuori il Letta-nipote, dentro il Sindaco più amato d’Italia. Il premier si dimette il 14 febbraio (bloody valentine direbbero negli States), Renzi riceve l’incarico il 17. Il 21, il sindaco di Firenze si presenta al Colle con una lista di nomi che viene stravolta dopo ore di colloquio con Napolitano: dentro Orlando e Padoan, fuori Gratteri e Delrio, tiene Mogherini sulla Bonino. Il 22, il giuramento: Letta non degna il “traditore” neppure di uno sguardo. Una stretta di mano e via, inizia l’era Renzi.
Cronoprogramma, Annuncite, Patto del Nazareno, Gufi. Qualche passo indietro. Il 18 gennaio Renzi e Berlusconi (condannato a quattro anni per frode fiscale), si incontrano nella sede democratica a Largo del Nazareno. Ci sono anche Guerini, Lotti, Confalonieri e Letta. Ma i due si appartano per ben 6 minuti. E’ il Patto del Nazareno, pietra angolare del sessantatreesimo governo della storia repubblicana. Dicono sia scritto, altri negano. Sicuramente riguarda legge elettorale (Italicum) e riforma costituzionale (Senato, Cnel e Titolo V), poi le clausole segreta: salva-Mediaset? anti-Prodi per il Colle? Di tutto e di più, ma il mistero continua ancora oggi.
Intanto il giovane premier si presenta alle Camere per la fiducia. Giacca e cravatta, mani in tasca, lancia sermoni sullo scibile umano. Risultato: stessa maggioranza del Letta-Alfano, intese ristrette. “A febbraio legge elettorale e riforme, a marzo lavoro, ad aprile pubblica amministrazione, a maggio fisco” è il cronoprogramma renziano. Ad oggi, come insegna un po’ di sano fact-checking anglosassone, l’Italicum è in alto mare al Senato condito da migliaia di emendamenti (poi dovrà tornare alla Camera), per la riforma del Senato servirà almeno un altro anno e mezzo (ad esser ottimisti), due decreti del jobs act sono arrivati a Natale mentre si attendono gli altri, per i decreti sulla P.A se ne parla ad anno nuovo, sul fisco ancora niente. Ma a chi ieri, durante la conferenza stampa di fine anno, glielo faceva notare, lui rispondeva piccato: “bisogna adattarsi al mondo che cambia, anche sul giornalismo”. D’altronde, si sa, i giornalisti sono i gufi per eccellenza. “Gufi”, “professoroni”, “frenatori”. Il vocabolario renziano si aggiorna col passare del tempo, ma sempre con un’unica dottrina: chi dissente vuole la palude. Per definizione.
Europee, canguro, Jobs act. Il 25 maggio, dopo l’astuta mossa degli 80 euro in busta paga a 10 milioni di italiani, Renzi e il Pd stravincono le elezioni europee. Il “sorpasso” grillino non si è verificato, il comico genovese viene sotterrato dai democratici che, ormai, sono diventati tutti renziani dopo il 41%. Forza Italia cala ancora, Ncd e Tsipras raggiungono a malapena il 4%, Scelta Civica sparisce dai radar. Legittimato per la prima volta da un voto popolare, Renzi svolta. L’8 agosto arriva l’approvazione in prima lettura della riforma del Senato “cangurando” gli emendamenti dell’opposizione grazie al benevolo Grasso. A settembre parte la riforma del lavoro: dopo il decreto Poletti, il governo ottiene la fiducia in bianco dal Parlamento sulla legge delega denominata jobs act. Landini, Camusso e la minoranza Pd avviano lo scontro col premier: “Thatcher”, “conservatori”, “bulletto”… Il 25 ottobre la prima manifestazione a Roma (almeno un milione di persone), il 12 dicembre lo sciopero generale. Ma tutele crescenti e l’abolizione dell’articolo 18 passano lo stesso con il Cdm di Natale.
Quirinale, Semestre europeo, 2015. Lo scoop dell’anno è di Repubblica e del Fatto che a fine ottobre rivelano le imminenti dimissioni di Giorgio Napolitano entro fine anno. Arriva subito la smentita che, naturalmente, non smentisce. La prima sfida di Renzi del 2015 riguarda proprio il Colle: e, mentre circola il toto-nomi, si fanno belli i franchi tiratori. A metà gennaio termina anche il semestre europeo a guida italiana. Ma non dite al premier che non ha portato a nulla: lo scazzo con l’Europa sui conti, l’operazione Triton. Il futuro dell’Ue sarà più chiaro solo con le elezioni di fine gennaio in Grecia.
Un anno difficile il 2014 per l’Italia: ancora disoccupazione, povertà e sofferenza. Certo, un po’ di speranza in più. Ma non basta. Intanto, un anno nuovo alle porte. Renzi si prepara, per lui sarà quello decisivo.
Giacomo Salvini