Nel corso della conferenza stampa di fine anno, Matteo Renzi ha annunciato una discreta dose di rivoluzioni copernicane. Una di queste riguarda il licenziamento degli statali – totem inscalfibile del mercato del lavoro – con l’annesso tema evergreen dei fannulloni nel pubblico impiego. “Io penso che il sistema del pubblico impiego vada cambiato e non necessariamente per applicare ciò che abbiamo fatto per il privato. Questo argomento lo vedremo verso febbraio-marzo […]. Non vedo perché non prevedere scarso rendimento nel pubblico”, ha affermato il premier. E ancora: “Se noi abbiamo deciso di non mettere lo scarso rendimento nel privato, questo non vuol dire che non lo si possa mettere nel pubblico impiego. E visto che si entra per concorso, si può immaginare che i giudici abbiano un ruolo maggiore. Io sono un sistema per cui nel pubblico impiego chi sbaglia paga”.
Dell’argomento si tornerà a parlare con la riforma Madia sulla Pubblica Amministrazione, che da mesi giace in Senato. Al momento, però, la riforma si limita a contenere norme sulle nuove assunzioni, regolate da un concorso unico, con i precari della P.A. – che beneficeranno di un punteggio più alto – in pole.
Fannulloni, con la riforma Brunetta è già possibile licenziarli
In teoria, disposizioni circa l’allontanamento dal luogo di lavoro del dipendente pubblico “fannullone” sono già in vigore. Basterebbe applicare le norme introdotte dalla riforma Brunetta del 2009, la quale prevede il licenziamento dello statale che si è assentato dall’ufficio senza giustificazione per più di tre giorni nell’arco di due anni o per una settimana negli ultimi dieci anni; che ha presentato al datore un certificato medico falso (con possibile radiazione dall’albo per il medico connivente); che rifiuta il trasferimento ad altro ufficio motivato da esigenze di servizio; che mette in atto condotte violente sul luogo di lavoro o viene condannato (con sentenza definitiva) in sede penale. Si può mandare a casa un dipendente pubblico anche per scarso rendimento, secondo i criteri previsti dalla legge, o in caso di falsa attestazione della presenza in servizio.
Fannulloni: ecco perché sono intoccabili
Ma allora, se la normativa è già in vigore, perché non la si applica a dovere? La risposta è semplice: nessuno vuole prendersi la responsabilità di licenziare un dipendente pubblico fannullone. Infatti, nel caso in cui un allontanamento fosse giudicato “illegittimo”, il dirigente sarebbe ritenuto responsabile del danno erariale e dunque obbligato al risarcimento. “Ed è, comprensibilmente, rarissimo – sottolinea, ad esempio, Pietro Ichino – che un dirigente sia disposto a rischiare i risparmi di famiglia per licenziare un dipendente: meglio il consueto patto di reciproco riconoscimento del diritto all’inefficienza, per cui il dirigente non mette sotto stress i dipendenti e questi non mettono sotto stress lui”. Di licenziamenti pubblici – ricorda Il Giornale – in Italia ce ne sono pochissimi: poco più di 100 all’anno su una platea di 3,5 milioni di dipendenti pubblici. Discorso diverso per il privato, dove i licenziamenti ammontano a 40 mila su circa 11 milioni di lavoratori.
Fannulloni, Brunetta: “Renzi applichi la mia riforma”
Nella discussione è intervenuto proprio Brunetta, il quale, commentando le parole pronunciate da Renzi nella conferenza stampa di ieri, ha affermato: “La frenesia di nuovi annunci di riforme epocali sulla PA fa dimenticare al Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che ci sono leggi vigenti che potrebbero ben attuare quello che lui ha promesso nella conferenza stampa di fine anno. Licenziare i dipendenti che non lavorano, chi non timbra il cartellino, premiare gli onesti. Tutto questo è possibile, basta applicare la riforma Brunetta senza nessuno spreco di energia di una nuova riforma”.