La crisi economica ha colpito non solo materialmente gli italiani, con una perdita di reddito, o nelle aspettative per il futuro, che non è più rappresentato da una crescita continua e ovvia, ma anche ormai nella razionalità e nella comprensione della realtà.
La percezione del declino che innegabilmente l’Italia sta vivendo, soprattutto rispetto al resto d’Europa e del mondo, fa apparire più rosei altri periodi, anche non molto vicini.
Così i mitici anni ’80 diventano il punto di riferimento di chi vorrebbe uscire dall’euro e tornare alla lira, gli anni ’80 per molti si stava meglio, “c’erano più soldi che giravano”, le cose costavano meno.
E’ proprio vero che al termine del decennio del decollo del debito pubblico (ricordiamolo), il potere d’acquisto degli italiani era più alto?
Siamo già passati nel 2002, all’esordio dell’euro per una fase di inflazione percepita come impazzita, in cui, si diceva, i prezzi erano improvvisamente raddoppiati (1000 lire erano diventati 1€ per la vulgata). Non era vero, e ci fosse stato Facebook quella falsa impressione avrebbe avuto una rilevanza mediatica ancora maggiore.
E allora vediamo di evitare anche oggi simili disinformazioni, per analizzare la realtà in modo più veritiero.
Prendendo come riferimento alcuni costi di beni di prima necessità nel corso degli scorsi decenni, e considerando la loro rivalutazione secondo l’inflazione, li abbiamo confrontati con i prezzi attuali, presi prevalentemente dal sito di Esselunga, paragonandoli poi con il salario medio di allora e di oggi per confrontare i diversi poteri d’acquisto.
Si tratta di prodotti di base come pane, riso, pasta, zucchine, latte, benzina, biglietto del trasporto pubblico, automobile.
La prima cosa che spicca è che i casi di reale peggioramento del potere d’acquisto sono quelli legati a prezzi decisi poco dal mercato italiano ma dipendenti o da decisioni pubbliche e politiche(il caso del trasporto pubblico, per cui è stato preso a riferimento Milano), o dalle oscillazioni dei prezzi di materie prima a livello internazionale, come il grano per il pane.
Negli altri casi il miglioramento del potere d’acquisto è evidente, e dipende soprattutto dalla concorrenza, è questo il caso del latte senza marca, della pasta o del riso con il brand del supermercato.
Nel caso dell’auto, in cui abbiamo confrontato una Uno del 1990 con la nuova Panda ora, vi è naturalmente l’aspetto tecnologico.
La realtà è che rispetto ai mitici anni ’80, grazie soprattutto alla bassa inflazione dovuta all’introduzione dell’euro, è stato acquisito un potere d’acquisto maggiore nella maggior parte dei prodotti di base. Piuttosto il problema è quello sorto dal 2008 in poi, non dovuto però alla questione monetaria, ma alla crisi di reddito.
Non sono stati inseriti i pur importanti cali di prezzo su prodotti e servizi come biglietti aerei o tecnologia e telecomunicazioni, basti pensare alla telefonia, in cui il guadagno è stato amplissimo, ed è stato riassunto, in modo un po’ goliardico, anche qui
Il problema attuale dell’economia italiana è piuttosto il numero di quanti percepiscono un salario, poichè se la percentuale di occupati è uguale o addirittura di poco superiore a quella del 1990, la società è mutata: molte più donne sono parte del mondo del lavoro, e se un tempo gli inattivi erano composti maggiormente da pensionati appena sopra i 50 anni, ora abbiamo i cosiddetti NEET, giovani che non studiano e non lavorano. La frammentazione maggiore dei nuclei familiari rende senza sostegno molti più individui senza un reddito, rispetto al passato.
Si è già parlato di come non è detto che la deflazione sia sempre un male , sicuramente è un danno invece il prosieguo di un declino economico che provoca risentimento, teorie economiche astruse, pericolose tentazioni come quelle di seguire per disperazione strade come l‘abbandono della moneta unica.