L’Unione Europea si è finalmente accorta di qualcosa che noi italiani sappiamo fin troppo bene: ovvero che il mondo del lavoro non si divide semplicemente tra occupati, disoccupati e inattivi.
Vi sono alcune categorie, come vedremo peculiari dell’Italia, che riguardano un numero non indifferente di persone. Il seguente prospetto di Eurostat ilustra bene la questione:
Se la visione classica include appunto gli occupati, 216 milioni di persone, i disoccupati, 26,2 milioni e gli inattivi, 136,7 milioni, in realtà è stato capito che sia gli occupati che gli inattivi sono a loro volta contenitori di altre realtà: se tra gli occupati vi sono circa 10 milioni di lavoratori sotto-occupati costretti ad essere part-time contro la propria volontà, dall’altra parte vi sono 9,3 milioni di persone attive che sarebbero disponibili a lavorare ma non cercano lavoro, i cosiddetti “scoraggiati”.
Ci occupiamo della seconda categoria, visto che la prima, seppure in crescita, è poco presente in Italia.
Quanti sono coloro che in Italia dichiarano di essere disponibili a lavorare, ma non stanno cercando un’occupazione? Tantissimi, più che in tutto il resto d’Europa. anzi potremmo dire che si tratta di una sindrome tipicamente italiana. Peggiorata con la crisi economica.
Lo vediamo dal grafico sottostante:
Per l’Italia si passa dal 8 al 14%, e nonostante come sappiamo gli inattivi, la macro-categoria cui appartengono, siano diminuiti, e i disoccupati aumentati.
Per esempio in Grecia e Spagna, due Paesi con disoccupazione molto maggiore della nostra ufficialmente, le percentuali non sono alte, nè sono salite in modo significativo. Probabilmente anzi, proprio qui sta la ragione per cui l’Italia pur con il suo 13,4%, conserva tassi di disoccupazione decisamente minori rispetto a quelli di questi Paesi, in cui gli scoraggiati in in realtà tai lo sono di meno e un lavoro, seppure invano, lo cercano.
Rispetto al resto d’Europa l’Italia rappresenta un record assoluto, lo vediamo di seguito, soprattutto nel segmento femminile, in cui si sfiora il 20% nel nostro Paese: scoraggiato è donna in Italia.
Un altro fattore importante è l’istruzione, qui ci sono poche sorprese, gli scoraggiati a livello europeo sono concentrati in modo più che proporzionale tra coloro che hanno una istruzione bassa, questi sono il 45%, contro il 41% con una istruzione media e il 14% con una alta.
Basti pensare che invece tra gli occupati coloro con bassa educazione sono solo il 18%, e addirittura migliore è la posizione dei disoccupati, in cui coloro che non hanno avuto una istruzione valida sono meno che tra gli scoraggiati, il 38%
Da questi dati si evince che la correlazione istruzione-scoraggiati favorisce una sovra-rappresentazione dell’Italia, uno dei Paesi d’Europa con meno laureati e maggiore abbandono scolastico.
L’età è un altro elemento molto importante da considerare: contrariamente a quanto si pensa, e lo vediamo di seguito, a livello europeo non si tratta solo di giovani, tutt’altro, la quantità di 45-64enni è praticamente pari a quella di 15-34enni, ma cambia moltissimo in base al sesso. Se tra gli uomini sono i giovani coloro che sono di molto più scoraggiati, tra le donne si tratta di persone di mezza età. Tipicamente, dobbiamo immaginare, donne con bassa istruzione che preferiscono rimanere in famiglia non essendoci un impiego realmente valido per cui in teoria potrebbero occuparsi.
In Italia se osserviamo la proporzione di scoraggiati nel core dell’età dell’attività, tra i 25 e i 54 anni, quando massima dovrebbe essere l’occupazione, lo spread rispetto agli altri Paesi europei è ancora maggiore.
Si tocca il triplo del valore presente in altri Paesi non avanzati a livello occupazionale come Turchia o Spagna.
La differenza è spaventosa, ed è la somma di alcuni fattori strutturali che vanno molto ltre la crisi e la situazione dei giovani. In Italia lo scoraggiato tipo è
– donna
– del Sud
– con bassa istruzione
– di mezza età
E’ il risultato della stratificazione di un’istruzione meno avanzata che negli altri Paesi (meno laureati e diplomati), della mancanza di reali politiche del lavoro, essendo state deviate tutte le risorse sulla previdenza o su ammortizzatori per chi già lavorava, di una mentalità ancora poco favorevole in alcune regioni al lavoro della donna con una famiglia.
Nel breve periodo certamente con interventi a favore dell’attivazione di queste persone sarà la disoccupazione a salire, come in Spagna, ma sarebbe comunque un risultato più positivo per l’offerta di lavoro disponibile per la nostra economia.