Il quesito referendario bocciato oggi dalla Corte Costituzionale chiedeva la cancellazione della cosiddetta “Riforma delle pensioni Fornero” varata il 6 dicembre 2011, nei primi giorni del Governo Monti, con l’articolo 24 del Decreto Legislativo n. 201 “Salva Italia”, convertito definitivamente nella legge 214 del 22 dicembre 2011. La normativa è molto articolata, quindi cercheremo di delinearne i tratti essenziali.
La Riforma Fornero impone il sistema di calcolo pensionistico contributivo per tutti a partire dal 2012, anche per coloro che avevano iniziato con il modello retributivo. La pensione viene così calcolata in base ai versamenti effettuati dal lavoratore e non agli ultimi stipendi percepiti.
Inoltre ha stabilito dei requisiti per andare in “pensione di vecchiaia” (età anagrafica): minimo 20 anni di contribuzione e 66 anni di età per donne del pubblico impiego e uomini di qualsiasi occupazione, 62 anni per donne del settore privato (che diventeranno gradualmente 66 anni e 3 mesi nel 2018), 63 anni e 6 mesi per donne lavoratrici autonome (che diventeranno gradualmente 66 anni e 3 mesi nel 2018). Si può scegliere di lavorare sino a 70 anni. Inoltre abolisce la “pensione di anzianità” (età lavorativa) sostituita dalla “pensione anticipata”: oggi occorre aver lavorato 41 anni e 3 mesi per le donne o 42 anni e 3 mesi per gli uomini.
Se il requisito è raggiunto prima dei 62 anni di età, vi è una riduzione sulla quota antecedente al 2012. Infine implica un adeguamento periodico dei requisiti in funzione dell’allungamento della speranza di vita. La Riforma aumenta la contribuzione per una serie di categorie occupazionali, tra cui artigiani, commercianti, lavoratori agricoli e lavoratori autonomi; taglia le rivalutazioni delle pensioni che superano tre volte il trattamento minimo, introduce un contributo di solidarietà su quelle maggiori di 90 mila euro e incorpora gli enti previdenziali Inpdap ed Enpals presso l’Inps.
I fautori della nuova disciplina pensionistica parlano di una maggiore sostenibilità del sistema previdenziale, altri invece criticano soprattutto l’immediato innalzamento dell’età pensionabile (specialmente per le donne, in quanto per la disciplina previgente potevano essere sufficienti 60 anni), facendo emergere il problema dei numerosi esodati, cioè di quei lavoratori che, prossimi all’età di conseguimento della pensione di vecchiaia secondo la normativa precedente, sono stati espulsi dal mondo del lavoro con accordi che prevedevano l’accompagnamento alla pensione per un breve periodo, quindi sono rimasti senza stipendio né pensione sino al raggiungimento dei nuovi criteri. Inoltre si segnala che la Riforma per il momento non è riuscita nello scopo prefissato di stabilizzare la spesa pensionistica sul 15% del PIL che, anzi, risulta aumentata dal 16,8% del 2011 al 17,3% del 2012.
Il quesito referendario della Lega Nord si proponeva di abrogare in toto questa nuova disciplina previdenziale. Tuttavia, con una lettura estensiva dell’art. 75 della Costituzione, è molto probabile che la Corte abbia inteso includere la “Riforma delle pensioni Fornero” nella categoria di “Leggi tributarie e di bilancio”, non sottoponibili a referendum, ritenendo quindi non ammissibile il quesito. Un’ulteriore difficoltà potrebbe essere stata data dal fatto che, probabilmente, il governo metterà mano alla normativa pensionistica vigente, anche per risolvere le problematicità create sopra illustrate. Ad ogni modo, le motivazioni chiariranno tutto.