In un pomeriggio intensissimo e caratterizzato dal voto del Senato sull’Italicum, il consiglio dei ministri ha dato il via libera alla riforma del sistema bancario. In particolare, l’intervento del governo riguarda le banche popolari di maggiori dimensioni, che dovranno trasformarsi in società per azioni. Saranno dieci gli istituti coinvolti nel processo che i mercati si aspettavano da tempo. Dalla riorganizzazione del settore del credito sono escluse le banche di credito cooperativo, come ha anticipato lo stesso premier, Matteo Renzi, rispondendo a una esplicita richiesta arrivata via Twitter dalla deputata di Forza Italia, Gabriella Giammanco.
“Interveniamo sulle popolari con attivi sopra gli 8 miliardi, si tratta di 10 banche” ha detto il premier Renzi. Secondo i dati della Banca d’Italia, gli istituti coinvolti dovrebbero essere (nell’ordine dal più grande al più piccolo): Banco Popolare, Ubi, Bper, Bpm, Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Popolare di Sondrio, Creval, Popolare dell’Etruria e Popolare di Bari. Nel complesso, spiega Assopopolari sul suo sito, il sistema delle Popolari conta 70 istituti (quindi 60 sono fuori dalla riforma) con 1,34 milioni di soci e un totale di attivi da 450 miliardi. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha giustificato la scelta di porre il limite a 8 miliardi di attivi come giusta soglia per “dare una scossa al sistema del credito, preservando però un sistema di governance che ha dato tanto all’Italia.
Critiche erano arrivate dall’ex ministro della Difesa Mario Mauro: “Il decreto che mette in discussione il ruolo storico e il senso delle banche popolari nel nostro paese rappresenta un formidabile attacco al principio di sussidiarietà. Mi appello a tutti i ministri che hanno fatto della cultura della sussidiarietà un paradigma della propria azione politica e un modo per cercare consenso, affinchè oggi in Cdm si ottenga lo stralcio di quei passaggi che espongono le banche popolari all’aggressione dell’affarismo più deleterio”.