L’export extra UE si ferma, colpa dell’euro forte?
Si tratta del terzo mese di calo congiunturale, dopo le buone performances del 2012 e dell’inizio del 2013 l’export italiano al di fuori della Unione Europea sembra avere segnato il passo. Si tratta di un segnale preoccupante in quanto era stato il driver primario per mitigare il calo del PIL derivante dal crollo di investimenti e consumi interni
Vediamo di seguito l’andamento delle variazioni congiunturali mese su mese:
Dopo il picco di dicembre (+7,1%) che era una risposta al crollo di novembre (-5,1%) per la prima volta si è avuto a gennaio, febbraio, marzo, tre cali consecutivi, finora vi era stato un altalenante su e giù che in media rivelava un aumento tendenziale. Ora vi è anche una diminuzione tendenziale anno su anno del 1,2%.
Molto importante è da considerare il dato sull’energia che dipende in gran parte da fattori esogeni, qui vi è un crollo del 16,5%, quindi in realtà il calo totale è solo dello 0,2%. E se guardiamo al confronto tra il primo trimestre 2014 e l’ultimo 2013 vi è sempre un aumento.
Guardiamo alle aree dove l’exporta aumenta o diminuisce di più tra l’ultimo trimestre e il precedente:
Nel caso di India e Giappone, le aree con il maggior calo assieme alla Svizzera, è chiaro l’influsso delle politiche di svalutazione pur perseguite in constesti molto diversi. La politica di “beggar my neighbour” asiatica ancora deve dimostrare di essere salutare a quelle economie e vi sono molti dubbi in proposito.
Al contrario i maggiori aumenti sono verso l’Africa, continente in continua crescita, gli Stati Uniti in ripresa economica, e la Cina, verso la quale nei mesi precedenti l’Italia aveva esportato meno degli anni scorsi, con dei cali importanti.
Nella classifica dei maggiori partner l’Italia dimostra ancora alcune immaturità rispetto ad altre nazioni europee:
Vediamo come anche se ormai quasi metà dell’export vada oltre l’Unione Europea la parte del leone la facciano Svizzera, USA, Medio Oriente e Nordafrica con Cina, Africa, Sudamerica ancora poco rappresentate tra gli importatori dei nostri prodotti. Se potessimo vedere un grafico relativo ai partner di Francia o Germania, le cose sarebbero diverse.
Questo dimostra che il problema dell’Italia non è solo o tanto di domanda, ma anche di offerta, di competitività e di carenza di un sistema Paese che penetri questi mercati emergenti e in alcuni casi vergini a prodotti in cui l’Italia vanta buoni o ottimi posizionamenti.
Una svalutazione dell’euro da molti invocati per l’Italia significherebbe una perdita di credibilità, oltre che una perdita del silenzioso ma decisivo vantaggio che negli ultimi anni la UE ha avuto dal pagare meno le importazioni, non solo di materie prime, ma anche di prodotti semilavorati indispensabili per la nostra manifattura.
Quello di cui c’è urgente bisogno invece sono investimenti, massicci, e di qualità.