Lo sciopero più lungo d’Italia, durato ben tre anni e mezzo. Una divisa, quella data loro da Fiat, che li ha resi identificabili dovunque. Non c’era piazza, aula parlamentare, trasmissione televisiva, in cui il delfino bianco su sfondo blu, che disegna un cerchio riavvolgendosi sulla coda, non fosse immediatamente riconoscibile. “La Camusso, quando ci vedeva, si metteva le mani nei capelli – afferma con ironia Dario Meninno, rsu Fiom-Cgil –: siete pure qua!”.
È la storia di circa trecento operai dello stabilimento Irisbus-Iveco di Flumeri, in provincia di Avellino (i superstiti, considerati i trasferimenti e i prepensionamenti). Una storia comune a tante aziende italiane schiacciate da una crisi senza tregua, diventate troppo “costose”, stando alle “moderne” logiche aziendali.
Destino appeso a un filo
Perché potesse raccontarmi questa storia, io e Dario ci siamo dati appuntamento nello stesso posto in cui ci eravamo incontrati tre anni fa, quando il destino di Irisbus sembrava segnato. Ci siamo seduti allo stesso tavolo, come in una specie di rituale da rispettare. Quasi a voler chiudere il cerchio. Del primo incontro Dario conserva la stessa dignità, ma soltanto quella. Perché, a differenza di allora, questa volta è raggiante. Ha scolpito nel volto e impresso negli occhi l’entusiasmo di un bambino.
Racconta che la Fiat, andando via, aveva preparato ai lavoratori un “pacchetto completo”: contestualmente alla chiusura, offriva loro il passaggio ad aziende non concorrenti, orbitanti nel settore agro-alimentare. Ma gli operai dello stabilimento, che hanno sempre gestito la vertenza attraverso il consiglio di fabbrica senza mai delegarla completamente a una sigla sindacale, hanno detto “no”. Un “no” secco a tutti i potenziali acquirenti che si sono fatti avanti nel tempo – compreso il bluff di Di Risio –, mentre il caso Irisbus attraversava ben quattro governi: da Berlusconi a Renzi, passando per Monti e Letta. La soluzione non poteva che passare attraverso un atto politico, ma inizialmente la politica non si era dimostrata capace di tendere una mano all’ex stabilimento della Valle Ufita.
Mentre stavano per terminare i due anni di cassa integrazione, gli operai della Irisbus allacciavano relazioni con la bolognese BredaMenarinibus, con l’idea di costruire un polo unico da cui far ripartire la produzione di autobus. L’obiettivo di mantenere la stessa missione produttiva era quasi inimmaginabile, tuttavia i lavoratori non mollavano e il dialogo con Breda e Finmeccanica si faceva sempre più intenso.
La svolta con De Vincenti
Una svolta decisiva – e, per certi versi, inaspettata – all’intera vicenda è giunta con l’intervento di De Vincenti, prima sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico e poi Vice ministro. Contrario alle procedure di mobilità che Fiat intendeva avviare, De Vincenti aspirava alla misura della cassa in deroga, che potesse traghettare gli operai di Irisbus verso una soluzione definitiva.
Dario racconta che non dimenticherà mai l’incontro in cui De Vincenti, alla presenza degli operai e di una Fiat sorda alle esigenze dei suoi ex lavoratori, si è alzato in piedi a testa bassa, tuonando, per ben due volte, la frase: “Fiat venga con me!”. “Allora mi sono reso conto che si faceva sul serio”, spiega Dario, lasciando trapelare quanto il ricordo di quel momento in lui sia ancora vivo ed emozionante.
Dalla riunione a porte chiuse De Vincenti usciva guadagnando quel che voleva: tempo, tempo prezioso che ha permesso all’imprenditore Stefano Del Rosso, amministratore delegato in Italia della cinese “King Long Automotive”, di subentrare in compartecipazione con Finmeccanica nella costituzione della newco I.I.A. (“Industria Italiana Autobus”).
Il quartier generale della neonata azienda sarà a Bologna presso Breda, i cui dipendenti (197 rispetto ai 298 colleghi che opereranno al Sud) avranno il compito delle attività di progettazione e della produzione di autobus urbani. Allo stabilimento di Valle Ufita, invece, sarà affidato il “revamping”, ovvero l’ammodernamento dei mezzi, oltre alla produzione di autobus a trazione anteriore e nuovi veicoli turistici.
“Oggi parte una nuova storia”, afferma Meninno, pochi giorni prima della riapertura dello stabilimento, avvenuta il 30 dicembre dello scorso anno. Questo era il senso dello “striptease” inscenato dai lavoratori, tutti riassorbiti nella newco indipendentemente dall’età, quando, in uno degli ultimi incontri con Del Rosso, si sono simbolicamente sfilati di dosso le maglie che indossavano mostrando la t-shirt nascosta sotto: la scritta e il logo “Irisbus” stampati dietro, alle spalle, per lasciar posto, sul davanti, alla nuova azienda, l’ “Industria Italiana Autobus”, con la quale si apre un capitolo nuovo.