L’Isis prova a sfondare in Egitto: un gruppo legato allo Stato Islamico ha lanciato un’offensiva combinata in diverse località della penisola del Sinai.
Sinai sotto attacco
Gli jihadisti di Ansar Beit al Maqdis (la formazione da poco ha assunto la denominazione di Wilayat Sinai ovvero “Stato del Sinai”) hanno rilanciato la propria offensiva contro l’Egitto di Al Sisi. Tra le 19 e le 21 di ieri sono stati colpiti decine di obiettivi in più punti della penisola del Sinai: posti di blocco, basi militari, ma anche la redazione di un giornale e persino un museo, a Sheikh Zuwaid, el-Arish e nella parte egiziana di Rafah, al confine con la Striscia di Gaza.
Per condurre gli attacchi i terroristi si sono avvalsi di almeno un’autobomba, inoltre, sono stati sparati diversi colpi di mortaio. Si contano 32 morti, per la maggior parte soldati, e numerosi feriti.
Il governo egiziano ha incolpato i Fratelli musulmani prima che arrivasse la rivendicazione del gruppo vicino all’Isis. I miliziani di Ansar Beit al Maqdis, dopo la cacciata del Presidente Morsi nel luglio 2013, si scontrano frequentemente con l’esercito egiziano: l’obiettivo è quello di proclamare l’indipendenza della regione del Sinai per poi annetterla allo Stato Islamico del Califfo Abu Bakr Al Baghdadi.
Repressione inefficace?
Il governo e i vertici dell’esercito hanno presentato gli attacchi come la risposta all’efficace opera di repressione condotta contro l’estremismo islamico nella regione del Sinai. Secondo diversi analisti, invece, gli attentati mostrano al contrario come le politiche anti-terrorismo adottate finora (dichiarazione dello stato di emergenza, coprifuoco, limitazione del traffico in entrata e uscita, demolizione sistematica di centinaia di case nella città di Rafah) non solo non abbiano avuto successo ma, in sostanza, stiano facendo aumentare il sostegno dei residenti locali intorno agli insorti.
Gli jihadisti cercano fare appello proprio sulla rabbia diffusa tra la popolazione del Nord del Sinai. Gli abitanti della regione – in pochi si sono arricchiti grazie a famose località turistiche, contrariamente a quanto accade nel sud – da molto tempo condannano la negligenza de Il Cairo nella gestione delle misure di sicurezza.