Una passione chiamata vita. Frida Kahlo in mostra a Roma
“Ero solita pensare di essere la persona più strana del mondo ma poi ho pensato, ci sono così tante persone nel mondo, ci dev’essere qualcuna proprio come me, che si sente bizzarra e difettosa nello stesso modo in cui mi sento io. Vorrei immaginarla, e immaginare che lei debba essere là fuori e che anche lei stia pensando a me. Beh, spero che, se tu sei lì fuori e dovessi leggere ciò, tu sappia che sì, è vero, sono qui e sono strana proprio come te”.
Sceglieva queste parole per parlare di sé Frida Kahlo, l’artista messicana che “piegò” e dedicò il suo fragile corpo e la sua accidentata esistenza a placare la fame di passione, bellezza e cultura.
Per la prima volta l’Italia dedica alla sua figura una personale, che si può visitare alle Scuderie del Quirinale di Roma fino al 31 agosto prossimo. La mostra, curata da Helga Prignitz-Poda, si compone di circa 130 opere, tra cui suoi dipinti, autoritratti, disegni e collage, ai quali si aggiungono una serie di lavori di artisti coevi (il marito Diego Rivera, José Clemente Orozco e José David Alfaro Siqueiros), nonchéi ritratti di Frida realizzati da numerosi fotografi, tra cui il suo amante, Nickolas Muray.
“Dipingo per me stessa perché trascorro molto tempo da sola e perché sono il soggetto che conosco meglio”, diceva. Sin da bambina l’artista messicana dovette convivere con la malattia, dapprima con la poliomelite, e successivamente con la rottura della spina dorsale, causata da un gravissimo incidente di cui fu vittima a 17 anni. Frida subì svariate operazioni chirurgiche, e fu costretta per mesi a restare immobilizzata a letto: questo la spinse a iniziare a dipingere. Così, la tela finì per rappresentare una sorta di specchio, attraverso cui riflettere su di sé e sulla realtà circostante; l’arte assunse una funzione terapeutica, diventando, in un certo modo salvifica, e consentendole di esorcizzare la morte e la solitudine, i suoi demoni più feroci.
Tra le opere di Frida Kahlo esposte, spicca l’Autoritratto con vestito di velluto (1926), in cui l’artista messicana, richiamandosi a Botticelli e al Parmigianino, si ritrae come una Madonna rinascimentale, estremamente sensuosa e allusiva nello sguardo e nella nudità, suggerita quasi distrattamente dall’abito di velluto rosso. Alle sue spalle, un mare che ribolle tempestoso. La tela, realizzata per il suo amato, Alejandro Gòmez Arias, fu da lui custodita per tutta la vita, ed esposta seguendo le indicazioni di Frida, ad altezza occhi, in modo da avere l’impressione di guardare costantemente il suo viso.
Autoritratto con collana di spine e colibrì (1940) vide invece la luce durante un periodo di crisi del rapporto con Diego Rivera. L’opera è carica di simboli nascosti: ai due lati della collana, fonte di dolore e angoscia, tra le spine, spiccano le lettere D e F, legate insieme dall’amore. Dietro Frida, fa capolino una flora lussureggiante e i suoi animali preferiti, scimmie e gatti neri, gli unici che le tengono compagnia, sotto il suo sguardo impassibile. Si segnalano inoltre, tra i disegni, il bozzetto per l’Henry Ford Hospital (1932), nonché il famoso corsetto in gesso che Frida fu costretta a usare negli ultimi anni della malattia, e che decorò con una serie di simboli.
All’allestimento complessivo della mostra concorrono anche i toni caldi e vividi dell’arancio e del rosso delle pareti, che consentono al pubblico di immergersi rapidamente nell’atmosfera del Messico vissuto dall’artista. Dopo Roma, toccherà a Genova renderle omaggio: Frida e Diego, in programma a Palazzo Ducale dal 20 settembre 2014 al 15 febbraio 2015, sarà infatti incentrato sul rapporto, travagliato ma intensissimo, che unì i due.
Ciò che rende l’opera di Frida Kahlo contemporanea, attuale e vibrante di coinvolgimento è stata la forza con cui ha vissuto l’esistenza, senza permettere a circostanze fin troppo avverse di negarle l’amore, la realizzazione professionale e la possibilità di attraversare appieno la propria epoca, partecipando ai fermenti socio-politici in atto (basti pensare alla militanza nel Partito Comunista). L’artista, che era nata il 6 luglio 1907 a Coyoacán (Città del Messico), grazie all’anticonformismo e alla visionarietà che la caratterizzavano, rivisitò infatti le tradizioni folkloriche e il passato indigeno, fondendoli con le istanze più urgenti dei suo immaginario, offrendo una panoramica pulsante e immediata della cultura popolare messicana. La sua opera coagulò inoltre influenze e suggestioni mutuate da correnti coeve come il Pauperismo rivoluzionario, l’Estridentismo, il Surrealismo e il Realismo magico.
La mostra in corso a Roma è quindi una ghiotta occasione non solo per immergersi nel perimetro fertile dei riferimenti culturali re-interpretati da Frida e rivitalizzati alla luce del suo vissuto, ma anche – e soprattutto – per testimoniare che sofferenza e avversità, obbligandoci ad attingere a tutte le nostre risorse interiori, ci offrono la possibilità di conoscere la nostra parte più intima e feconda.