In Afghanistan il nuovo Presidente verrà scelto con un ballottaggio (previsto per il 28 Maggio), infatti, nessuno degli 11 candidati ha superato quota 50% dei consensi alla prima tornata elettorale; il secondo turno, quello decisivo, vedrà protagonisti Abdullah Abdullah, ha sfiorato il 45% dei voti, e Ashraf Ghani che, invece, ha raccolto poco più del 32% dei consensi.
Abdullah Abdullah, classe ’60, è un oftalmologo prestato alla politica: di origini tajike e pashtun, all’inizio della carriera era vicino al signore della guerra Massud, il famoso “leone del Panshir”; è stato ministro degli Esteri del governo Karzai tra il 2001 e il 2005, nel 2009 ha sfidato lo stesso Karzai alle presidenziali arrivando al ballottaggio da cui, in seguito, si ritirò denunciando dei brogli, nel 2011 ha fondato la Coalizione per l’Afghanistan che l’ha sostenuto nella campagna elettorale di questi mesi.
Ashraf Ghani, 64 anni, di etnia pashtun è un economista laureatosi all’università americana di Beirut e perfezionatosi alla Columbia University; è stato ministro delle Finanze dal 2002 al 2004 e poi consigliere capo di Karzai; alle presidenziali del 2009 aveva ricevuto solo il 3% dei voti.
Abdullah ha già criticato i risultati, denunciando anche questa volta dei brogli: il medico ha paura che al secondo turno i voti degli altri candidati convergano sul suo avversario per motivi etnici. Abdullah durante la campagna elettorale si è mosso sempre su posizioni anti Karzai cercando di catturare il favore degli americani; questi ultimi, d’altra parte, sembrano più propensi ad appoggiare l’elezione di Ghani che, oltre a buone entrature a Washington, è un pashtun, cioè fa parte dell’etnia maggioritaria nel paese che è anche quella dei talebani.
L’elezione di un tajiko del Nord qual è Abdullah, anche se il padre adottivo è pashtun, non sarebbe mai accettata nelle regioni del Sud (si teme che la maggior parte degli afghani possa appoggiare gli estremisti): è probabile che pashtun e uzbeki si uniscano per sconfiggere Abdullah, mettendo i tajiki – nemici dei talebani ma rimasti ai margini nei luoghi che contano anche dopo la caduta del regime del Mullah Omar – ancora una volta “politicamente” all’angolo.
Guglielmo Sano