Mattarella e il ddl contro la propaganda elettorale in tv mai discusso
Legge elettorale e non solo. Da deputato, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella era intenzionato a disciplinare anche la propaganda politica in televisione e sulla stampa. A riferirlo è il Fatto Quotidiano che, in un articolo di oggi, propone il disegno di legge del 1991 (a un anno dall’entrata in vigore della legge Mammì) di cui il nuovo inquilino del Quirinale è stato il primo firmatario.
“Necessità di tutelare la genuinità del consenso”
Un disegno per cui, sostiene il quotidiano diretto da Marco Travaglio, “Mezza Fininvest, se fosse passato, sarebbe finita alla sbarra” negli anni successivi, riferendosi alle dichiarazioni di sostegno a Silvio Berlusconi in televisione da parte di alcuni volti Mediaset alla vigilia delle elezioni politiche ed europee del 1994.
Con questo provvedimento denominato “Misure urgenti per la disciplina della propaganda elettorale con riferimento al sistema delle telecomunicazioni di massa”, Mattarella andava a colpire chi, a trenta giorni dal termine della campagna elettorale, avrebbe sfruttato la stampa o la televisione per esprimere una preferenza per uno dei candidati nei sistemi uninominali. Chi non rispettava le norme, secondo i quattro articoli, avrebbe rischiato la reclusione fino ad un anno o una multa compresa dalle 50 mila ai 10 milioni di lire, con la revoca della concessione alle reti televisive recidive.
Nel discorso di presentazione del disegno alla Camera, nel 1991, Mattarella aveva sottolineato la necessità di “salvaguardare la qualità stessa del dibattito politico” e di tutelare la “genuinità del consenso” che, nell’epoca moderna, poteva formarsi sia a partire da “un libero dibattito” e “un aperto confronto delle idee e dei valori” sia dal “potere di acquisto di chi, avendo più disponibilità finanziarie” riusciva “ad usufruire maggiormente delle opportunità offerte dal sistema delle comunicazioni”.
Un disegno mai discusso
All’attuale inquilino del Colle, dunque, premeva coprire questo ambito che, fatta eccezione per la legge 212/1956 e l’articolo 9 bis della legge 10/1985, era sostanzialmente un terreno allo stato brado. Tuttavia, il suo intento non andò a buon fine: il suo disegno, firmato anche da Pier Ferdinando Casini, non venne mai discusso, anche se ripresentato successivamente.