Tra errori tattici e muro contro muro Grecia e Troika cercheranno un difficile accordo
Dopo settimane roventi e muro contro muro, le trattative sul destino della Grecia entrano nel vivo: i mercati aspettano il risultato delle trattative delle prossime due settimane senza scossoni, ma anche senza confermare una direzione. Si può inferire un cauto ottimismo, almeno a giudicare dal termometro delle borse: l’esito atteso al momento è quello di un compromesso che permetta di sopravvivere un altro po’ ad una crisi (greca ed europea) di cui comunque non si vede la fine.
Si aprono i tavoli dell’Eurogruppo e si punta a chiudere entro l’inizio della prossima settimana, in modo da permettere ai Parlamenti che lo richiederanno di ratificare il nuovo memorandum e scongiurare quella data del 28 febbraio diventata rocambolescamente significativa per una brutta serie di errori tattici.
Nonostante il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis sia un esperto di teoria dei giochi, non si può dire che la sua strategia sia stata da manuale: il ministro si è mosso fra attacchi aggressivi e debolezze al tavolo, in sostanza minacciando di farsi esplodere (economicamente) per costringere gli altri giocatori a cedere.
L’arma, però, nel breve periodo, è spuntata: chi ha tutto da perdere dal salto nel vuoto della rottura delle trattative (e dall’uscita dall’euro che ne conseguirebbe) sono i greci, mentre l’Europa non teme più l’effetto contagio. La cosa migliore sarebbe stata (ed è, si spera) è dimostrare buona volontà, chiedere molto e assicurarsi di ottenere le cose più importanti, non tutto ciò che si vuole (perché è ovvio che non lo si otterrà mai).
Tsipras, in questo caso, dovrebbe rinunciare al taglio del debito e ad alcune manovre populiste (come l’aumento del salario minimo, che farebbe sparire un pezzo della già disastrata competitività greca, e la no-tax area, che per via dell’evasione fiscale in pratica vi farebbe rientrare qualunque contribuente) per ottenere maggiore margine di manovra per contenere l’emergenza umanitaria, restaurando la sanità pubblica, ad esempio.
Tra debito e crescita
Il governo greco deve anche dimostrare di avere capito che il problema della Grecia non è il debito, ma la crescita. Il debito difficilmente sarà ripagato, ma si può ridurre la sua incidenza sull’economia agendo sul PIL.
Ma l’economia greca non è depressa per via della crisi, lo era da ben prima di entrare nell’euro, anche se i sintomi erano più blandi. La Grecia è un Paese arretrato (uno dei pochissimi – tre – in Europa a basarsi sulle esportazioni di derrate alimentari, oltre al turismo), dove l’evasione fiscale è elevatissima (la pressione fiscale è al 34%, un livello troppo basso, segno che lo stato non riesce a riscuotere le tasse dovute), dove la corruzione e la burocrazia ancora stringono il cappio e la meritocrazia semplicemente non esiste, sia a livello personale che aziendale (alcune privatizzazioni e liberalizzazioni, ad esempio, sono necessarie non solo per fare cassa).
Tsipras e il destino della Grecia
Si tratta di problemi “culturali” che Tsipras dovrà affrontare in ogni caso, sia con l’euro che senza, sia con l’Europa che con la Russia: la Grecia è economicamente in coma, e l’Europa può solo concedere più tempo. I miracoli non esistono.
C’è da dire che i margini sono relativamente ampi: per l’Europa le necessità della Grecia di cui si discute sono limitate a 10-15 miliardi contro i 240 miliardi che rischiano di essere perduti; per la Grecia si tratta di trovare un accordo, fallire o entrare nell’orbita di un Paese ingombrante come la Russia (che pure ha i suoi problemi), e tanti saluti all’indipendenza e alla dignità greca di cui Tsipras parla spesso.
Insomma, la trattativa non sarebbe complicata, il problema è che al tavolo sono seduti molti falchi importanti. O delle scimmie urlatrici, se preferite. Per cui l’esito non è affatto scontato.