Partiti, cento di queste sedi (abbandonate)
Quando è finita la Prima Repubblica? Forse mai, secondo chi ha salutato l’elezione al Quirinale di Sergio Mattarella come “restaurazione della Prima Repubblica”, quando si guarderebbe volentieri alla Terza, sperandola migliore delle precedenti. Per altri, la Prima Repubblica si è estinta davvero, ma non proprio nel 1994, come vari cronisti e commentatori credono: ha chiuso bottega anno dopo anno, via via che si abbandonavano le sedi storiche dei partiti che l’avevano animata. Se è così, c’è seriamente da pensare che stia chiudendo anche la Seconda, di Repubblica.
Questione di giorni, e i Ds dovrebbero vuotare i locali di via Nazionale 75. Sì, i Democratici di sinistra, formalmente ancora in vita e rappresentati dal tesoriere, Ugo Sposetti. In Italia quasi nessuno sa come si chiude davvero un partito – specie di quelle dimensioni – e i Ds ci provano; intanto, però, per fare economia, tocca fare gli scatoloni e spostarsi. La nuova sede sarà quattro chilometri più in là, in via Sebino 43/a: lì, dov’era la federazione romana della Quercia, ha già sede l’associazione delle Fondazioni democratiche (nate per preservare il patrimonio del partito, morale e materiale) e ora arriverà pure ciò che resta del partito, per i suoi ultimi mesi di vita giuridica.
Quella di via Nazionale (che fino a pochi anni fa contava pure gli uffici con ingresso dalla parallela via Palermo, al civico 12) è tra le ultime sedi della Seconda Repubblica a essere smobilitate; i Ds – allora guidati da Veltroni – vi erano approdati nel 2000, dopo aver lasciato con dolore lo storico edificio con ingresso in via delle Botteghe oscure 4, oggi finito nelle mani di Bancaria immobiliare spa. Quel trasloco dilaniante al “Botteghino” era stato rimandato il più possibile e, in effetti, fu tra gli ultimi a riguardare i palazzi che avevano fatto la storia dei primi cinquant’anni di Repubblica.
Più del “Bottegone”, era durato solo Palazzo Cenci-Bolognetti, con ingresso su piazza del Gesù, al numero 46: era stata la casa incontrastata della Democrazia cristiana fino al 1994, quando aveva cambiato nome – nel modo sbagliato, come avrebbero accertato i giudici quindici anni dopo – in Partito popolare italiano. Nel 1995, dopo giorni di scontro fratricida interno al partito alla conquista di piani e stanze, lo stesso imponente edificio ospitò, da “separati in casa”, tanto i Popolari di Gerardo Bianco quanto il Cdu di Rocco Bottiglione. Sono rimasti lì fino a gennaio del 2003 – anche se erano già confluiti nella Margherita e nell’Udc – quando gli affitti chiesti dalla fondazione Cenci-Bolognetti erano diventati troppo salati; negli anni il palazzo ha assistito anche a vari tentativi di “rinascita” democristiana (targati di volta in volta Piccoli, Duce, Sandri, Pizza, Prandini) che via via hanno fatto perdere le loro tracce o, nella migliore ipotesi, hanno dovuto traslocare come gli altri.
In quel 2003, il Cdu se ne andò in via dei Due Macelli, al 66, dove da anni già c’era il Ccd e dove tuttora è di casa l’Udc; il Ppi, invece, si trasferì nella sede provvisoria della Margherita. in via Poli 29 (lo stesso indirizzo attuale di Scelta civica e già di Futuro e libertà). Quella definitiva, invece, sarebbe stata poco più in là, in via Sant’Andrea delle Fratte, numero 16, in un palazzo che, come si sarebbe imparato poi, si affaccia anche su largo del Nazareno. E proprio lì nel 2010 sarebbe arrivato il Partito democratico, dopo i due anni e mezzo dell’esperienza open space (e costosa) del loft di piazza Sant’Anastasìa, con vista Circo Massimo.
Una targa con la corolla del fiore ha ricordato per anni che il Pd era “ospite” della Margherita, titolare dei contratti di affitto e soprattutto pienamente esistente e tuttora in liquidazione: l’insegna è sparita dall’ingresso solo il 5 dicembre 2013, tre giorni prima delle primarie che hanno portato Matteo Renzi alla segreteria dem. Il primo leader della Margherita, Francesco Rutelli, nel frattempo se n’era andato da un pezzo con la sua Alleanza per l’Italia (prima a largo Fontanella Borghese, poi in via di Campo Marzio), mentre il Partito popolare, o ciò che ne resta (anche per i vari contenziosi che non gli consentono di riposare in pace) è tornato vicino alla vecchia casa, in via del Gesù, al 72.
Ma se il Nazareno è ancora lì, pur passato di mano, il partito del suo visitatore più chiacchierato ha fatto le valigie meno di un anno e mezzo fa. In via dell’Umiltà, al civico 36, Forza Italia c’è stata dall’inizio, così come dal 2008 c’è stato il Popolo della libertà. In fondo, quel palazzone era stato la prima vera sede della Seconda Repubblica e per quasi vent’anni è stato determinante per la gestione della politica italiana. I canoni di locazione, però, erano diventati troppo cari anche per il rianimato partito di Silvio Berlusconi, per cui è stato necessario il trasloco nella più raccolta piazza San Lorenzo in Lucina, numero 4. La stessa piazza in cui aveva il suo studio Giulio Andreotti e che ospitava – al numero 26 – la sede prima dei Socialisti democratici italiani e poi del Partito socialista italiano, ora spostatosi in via Santa Caterina da Siena, 57 (niente a che vedere coi fasti del “tempio” storico del vecchio Psi, in via del Corso, numero 476, marchio forte del garofano e dell’era Craxi).
Andando invece in via della Scrofa al numero 39, nei locali che furono del Movimento sociale italiano prima e di Alleanza nazionale poi, oggi si trova giusto la fondazione che gestisce beni e patrimonio degli ex An (piuttosto litigiosi), ma di partiti manco l’ombra: Fratelli d’Italia sta in piazza Paganica, ma il paragone con la sede storica della destra italiana francamente non regge.
Sulle sedi dei due principali attori politici della Seconda Repubblica, dunque, è calato o sta calando tristemente il sipario. Di quell’epoca, in realtà, qualcosa rimane tra le (poche) pagine chiare e le (moltissime) pagine scure: ci sono, lo si è visto, alcuni luoghi passati di mano (dal Nazareno margheritino-dem al palazzo dell’Udc). La coerenza “locale” più lunga, però, inaspettatamente appartiene ai radicali e alla loro sede di via di Torre Argentina, numero 76 (anche se in origine era il 18), un abbinamento che dura da oltre un quarto di secolo, iniziato dunque in piena Prima Repubblica: all’alba della Terza, però, nessun radicale dichiarato siede in Parlamento.
Di leghisti, invece, ce n’è ben più di uno, così come c’è ancora il quartier generale di via Carlo Bellerio a Milano, in cui il Carroccio è di casa dal 1993; le finanze del partito però sono devastate e le voci di una possibile vendita della sede storica della Lega Nord si sono ricorse più volte. Per Matteo Salvini il complesso non si vende «anche perché il mercato immobiliare è quello che è»; se anche il Sole delle Alpi dovesse tramontare da via Bellerio, però, la Seconda Repubblica sarebbe finita sul serio.
Aimone Finestra