L’economia italiana ha registrato uno stop alla recessione nel 4° trimestre del 2014: secondo le stime dell’Istat, infatti, il Pil è rimasto invariato rispetto ai tre mesi precedenti, registrando una crescita pari a zero.
Rispetto al quarto trimestre 2013, il Pil ha visto una diminuzione dello 0,3%. La variazione congiunturale nulla registrata dall’Istat per il periodo ottobre-dicembre 2014 è effetto di un arrotondamento: guardando i valori del prodotto interno lordo, si registra solo un calo di circa 70 milioni di euro rispetto al 3° trimestre precedente.
Per variazione congiunturale, spiega l’Istat, si intende la sintesi della diminuzione del valore aggiunto nell’agricoltura e nell’industria e di un aumento nei servizi. Il contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte) è compensato dalla variazione positiva delle esportazioni.
Se da una parte i dati dell’Istat fanno intravedere uno spiraglio verso la fine della recessione, dall’altra i dati del Censis dipingono una futuro ‘da poveri’ per i giovani precari. Una ricerca dell’istituto, realizzata con Fondazione Generali, indica che “la ‘generazione mille euro’ avrà ancora meno a fine carriera. Con pensioni molto basse”. Il 40% dei lavoratori dipendenti tra i 25 e i 34 anni ha una retribuzione netta media fino a mille euro al mese: di questi, il 65% “avrà una pensione sotto i mille euro, pur con avanzamenti di carriera medi assimilabili a quelli delle generazioni che li hanno preceduti”. A parità di condizioni quindi, i giovani italiani saranno più poveri dei loro genitori.
Censis: “I precari di oggi saranno gli anziani poveri di domani”
La ricerca del Censis riguarda però solo una parte dei lavoratori, i ‘fortunati’ (circa 3,4 milioni) ben inseriti nel mercato del lavoro, con contratti standard. Poi, sottolinea la ricerca, “ci sono 890.000 giovani 25-34enni autonomi o con contratti di collaborazione e quasi 2,3 milioni di Neet, che non studiano né lavorano. Se continua così, i giovani precari di oggi diventeranno gli anziani poveri di domani”.
Alcune responsabilità sono da attribuire al regime contributivo puro, che “cozza con la reale condizione” lavorativa dei giovani dai 18 ai 34 anni. “La loro pensione dipenderà dalla capacità che avranno di versare contributi presto e con continuità”, ma il 61% dei giovani ha “avuto finora una contribuzione pensionistica intermittente, perché sono rimasti spesso senza lavoro o perché hanno lavorato in nero” – “per avere pensioni migliori, l’unica soluzione è lavorare fino ad età avanzata, allo sfinimento”. Ma il mercato del lavoro italiano non aiuta, la ricerca indica che “l’occupazione dei giovani è crollata” e questa perdita di occupazione giovanile è “tradotta in costo sociale è stata pari a 120 miliardi di euro, cioè un valore pari al Pil di tre Paesi europei come Lussemburgo, Croazia e Lituania messi insieme”.