Libia, l’Italia si chiede che fare. Ieri le parole del premier Renzi hanno riportato la calma e preso tempo sull’intervento militare auspicato anche da componenti dello stesso Governo. La situazione in Libia continua a minacciare la serenità nazionale ma eventuali decisioni sono demandate all’intervento dell’Onu.
Vertice a Palazzo Chigi sulla Libia con Matteo Renzi insieme ai ministri Gentiloni, Alfano e Pinotti, presente il sottosegretario Minniti, per fare il punto sulla situazione in Libia. Nel corso dell’incontro è stato ribadito l’impegno italiano per per una forte azione diplomatica in ambito Onu. Nell’incontro di questa mattina tra il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e i ministri degli Esteri, Paolo Gentiloni, degli Interni, Angelino Alfano, e della Difesa, Roberta Pinotti, insieme al sottosegretario con delega ai Servizi, Marco Minniti, è stato ribadito il sostegno per una iniziativa urgente al Consiglio di sicurezza dell’Onu per promuovere stabilità e pace in Libia. Lo rendono noto fonti di Palazzo Chigi. Intanto, dopo le minacce jihadiste dei giorni scorsi il titolare del Viminale Angelino Alfano ha convocato per oggi alle 20 il Comitato nazionale per l’Ordine e la Sicurezza ponendo all’ordine del giorno l’attuazione del piano di impiego del contingente di 4.800 militari per la vigilanza di siti e obiettivi sensibili.
Ambasciatore Egitto: serve grande coalizione
A confermare i rischi per l’Italia sono anche le parole dell’ambasciatore egiziano a Roma. “Stiamo portando la questione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu” perché quella della Libia “non è una questione che riguarda solo l’Egitto: il Consiglio di sicurezza deve assumersi le sue responsabilità. L’Isis è a poche centinaia di chilometri da Roma, questa situazione deve essere presa più seriamente”. Amr Helmy spiega al Corriere la sua posizione: “Non basta attaccare in Siria e in Iraq l’Isis in Libia è una minaccia imminente. Il nostro ministro degli Esteri è andato a New York, c’è la sensazione che ci sarà un consenso internazionale”.
Dal Consiglio di sicurezza l’ambasciatore auspica la creazione di “una coalizione internazionale, una forza di intervento”. “Non penso che manderemo mai truppe di terra e di occupazione mentre potrebbero esserci delle operazioni aeree limitate contro target ben definiti. Ma i bombardamenti non bastano. Potrebbero essere necessari una forza di peacekeeping, rifugi sicuri per le minoranze, un corridoio umanitario per i civili che lasciano il Paese”.
Ministro petrolio Libia: guerra alimentata dall’esterno
“Qui ci sono sempre stati enormi vantaggi per le società estere: vastità di territorio, lunghezza delle coste e altre risorse oltre al petrolio come oro e uranio. Detto ciò era ovvio che il Paese diventasse oggetto di invidia. Non voglio fare nomi ma ci sono nazioni che vorrebbero estendere i propri confini a nostro discapito. Lo hanno detto espressamente. E invece altri Paesi petroliferi i quali non vogliono che la Libia diventi un concorrente temibile. A loro conviene che ci sia instabilità”.
Ne è convinto Mashallah Zwai, ministro del Petrolio del governo di Tripoli, intervistato dal Messaggero. “Attentati e sabotaggi hanno minato la produzione interna. Più volte Haftar (il generale capo dell’Operazione Karama che combatte con il governo di Tobruk, ndr) ha bombardato depositi di greggio, pozzi e terminal petroliferi”.
Libia, Fioroni: non alimentiamo incendio con le armi
“Per spegnere un incendio bisogna usare le sostanze giuste, sbagliare sostanza rischia di far divampare l’incendio a dismisura”. Così Beppe Fioroni, membro Pd della commissione difesa alla Camera, spiega in un’intervista a La Stampa la sua posizione sulla crisi in Libia. “Ho trovato molto equilibrato l’indirizzo che ha dato Renzi. Il tasso di rischio sta crescendo e noi nel dibattito dobbiamo tenere conto che l’incendio si sta generando nel giardino di casa nostra. Ma la via maestra deve essere quella della diplomazia”. All’appello a suo avviso mancano “moltissimi attori. Non ci sono solo Europa e Stati Uniti. Vanno coinvolti i Paesi limitrofi, l’Unione Africana, la Lega Araba, tutti gli Stati che avvertono il pericolo rappresentato dall’Isis come una minaccia globale”.
Libia, Martino: intervento militare inevitabile
“In Libia l’intervento militare è inevitabile. E non capisco cosa significhi l’attesa di ‘un forte mandato Onù: se l’intervento è necessario per gli interessi dell’Italia non vedo perchè dovremmo chiedere permesso all’Onu”. Ne è convinto l’ex ministro di Esteri e Difesa Antonio Martino, intervistato dal Corriere della Sera. “Una lezione della storia è che i fanatici quando parlano esprimono ciò che davvero hanno intenzione di fare. Hitler come Al Baghdadi – sottolinea -. Se l’Isis minaccia Roma fa sul serio”. “La minaccia dell’estremismo islamico riguarda tutta Europa: dovrebbe partecipare il più grande numero di Paesi”.
Per l’intervento Martino partirebbe “dall’appello di Abdullah al Thani, premier del governo libico riconosciuto dall’Occidente, che chiede di impedire ai jihadisti di prendere stabilmente Tripoli e di minacciare l’Europa”.
“Il dialogo è possibile solo fra persone ugualmente armate. Ci sono oggi 300 milioni di musulmani in età da combattimento, fra i 15 e i 29 anni, contro 65 milioni di europei. In altri tempi l’Europa sarebbe stata conquistata. Oggi la tecnologia rende questo evento improbabile, ma i fratelli minori della conquista sono terrorismo e immigrazione di massa: vanno fermati prima che sia tardi”. “Prima di parlare, in crisi come questa, occorre un Consiglio dei ministri che concordi la strategia comune, importante soprattutto per l’immagine all’estero. Qui si sconta anche la mancanza di esperienza”.