Gli scioccanti episodi di vandalismo avvenuti a Roma in occasione della partita di Europa League hanno riacceso i riflettori sul caos imperante nella Capitale. Le “barbarie delle bestie olandesi” rappresentano infatti solo l’ultimo episodio per una città da molti anni preda della violenza ultras. Una metropoli che, parole del sindaco Ignazio Marino, ha un “gigantesco problema di ordine pubblico”. Che non riesce a risolvere, soprattutto quando c’è di mezzo il calcio.
Si poteva prevenire?
Senza risalire alla vergogna del derby Roma-Lazio del 2004, sospeso dai facinorosi delle curve, basta tornare con la mente al maggio scorso. Quando, in occasione della finale di Coppa Italia tra Roma e Napoli, l’Urbe venne messa a ferro e fuoco per ore da bande di teppisti, aizzate dal colpo di pistola esplosa contro il compianto Ciro Esposito. Nulla da allora è cambiato e nulla presumibilmente cambierà, in una città che di eterna non ha solo la Storia ma anche la disorganizzazione. Non si spiegherebbe altrimenti l’improvvisazione con cui ancora una volta il prefetto Giuseppe Pecoraro, zelantissimo quando si tratta di prostituzione e nozze gay, ha affrontato la questione. Con l’aggravante di conoscere da mesi data e ora in cui i famigerati hooligans olandesi avrebbero abbattuto la loro furia alcolica su Roma. Elementi non sufficienti, evidentemente, se, oltre al danno, i cittadini romani hanno dovuto assistere anche alla beffa di vedere prima distrutta Campo de Fiori e poi Piazza di Spagna.
L’Olanda non pagherà per i suoi connazionali violenti.
Chi pagherà per tanta negligenza e per i danni a monumenti storici restaurati con i soldi dei contribuenti? Non l’Olanda, la cui ambasciata, con inedita arroganza, ha già dichiarato che non intende rimborsare alcunché allo Stato italiano. Non Pecoraro né il Questore Nicolò D’Angelo, entrambi incollati con il mastice alla poltrona e subito pronti a discolparsi (“nessuna sottovalutazione della vicenda”). Non Alfano, le cui figuracce da quanto è al Viminale non si contano e quindi una più una meno cosa volete che sia. Insomma alla fine non pagherà nessuno tranne una manciata di ragazzotti con troppa birra in corpo. I quali hanno deciso di venire a fare i bulli in un paese le cui leggi, nel settore, tutto consentono e nulla puniscono. Con questi presupposti, la candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2024 sembra uno scherzo di cattivo gusto.
In Europa non si scherza
Senza rispolverare il banalissimo e abusatissimo slogan della “tolleranza zero”, è opportuna una rapidissima disamina su come nel resto d’Europa venga trattata la questione del tifo violento. Tenendo ben presenti due differenze macroscopiche rispetto al nostro paese: leggi severissime e magistratura tutt’altro che lassista. In Inghilterra, dove dagli anni ’90 il fenomeno degli hooligans è stato debellato, per finire in cella per 24 ore basta il semplice sospetto da parte della polizia. Per gli atti di violenza o per le violazioni al Daspo (che esiste anche lì, ma può durare fino a dieci anni, contro i nostri cinque) scatta la condanna in sede penale, avverso cui il tifoso violento può fare appello: ma se l’appello è infondato, la condanna è raddoppiata. In Francia va in galera fino a tre anni chi porta razzi allo stadio, e fino a due anni chi ricostituisce un club disciolto dal ministero degli Interni (possibilità che in Italia non esiste). In Russia il Daspo può arrivare fino a sette anni e ai tifosi violenti possono essere ordinate 160 ore di lavori socialmente utili. In Spagna, dove il fenomeno degli hooligans è molto più contenuto, l’obbligo di prenotare il proprio posto con nome e cognome e restarvi seduto per tutta la partita vale anche per le curve: una norma impossibile da fare rispettare in un qualunque stadio italiano. In Germania, altro paese ormai bonificato dagli ultrà, la polizia ha il diritto di sottoporre a fermo preventivo i tifosi violenti.