Che la burocrazia fosse una palla al piede del sistema produttivo italiano è cosa risaputa già da qualche decennio, tanto che parte dell’opinione pubblica (e della politica) sembra ormai aver accettato serenamente il problema, senza preoccuparsene più di tanto. Ma se a evidenziare l’effettiva presenza del problema sono i centri di studio dell’Unione Europea, la questione diventa più delicata.
Secondo il dossier Ue relativo allo sviluppo economico dei paesi membri, citato oggi dal Corriere della Sera, il peso eccessivo della macchina burocratica ostacolerebbe – e non poco – la potenziale crescita dell’economia italiana, che risentire di “insufficienti investimenti nelle industrie ad alta tecnologia”. Laddove ciò accade – cioè nei soliti Pigs, di cui l’Italia fa parte a pieno titolo – si registra un tasso di crescita sempre minore. E in questo caso la stagnazione c’entra ben poco, in quanto i dati in questione si riferiscono al periodo antecedente alla crisi economica.
La severa relazione dell’Ue rappresenta ora l’ennesimo campanello d’allarme per Matteo Renzi, il quale comunque non ha mai nascosto l’intenzione di muoversi al fine di snellire l’intricato meccanismo burocratico-amministrativo italiano. A tal proposito, un primo passo potrebbe essere già la riforma degli statali, annunciata stamani da Renzi via twitter (con tanto di stoccata polemica ai “gufi”) ma dai contenuti sostanziali ancora ignoti.
La direzione che il governo Renzi sarà obbligato a intraprendere, dunque, dovrà procedere su due binari paralleli: da una parte una necessaria semplificazione delle pratiche di burocrazia pubblica, dall’altra una progressiva riduzione dei livelli di pressione fiscale, che com’è noto continua a rappresentare un disincentivo alle imprese ancora operanti sul territorio.
Tuttavia, se è vero che governo e parlamento hanno la prerogativa di emanare le direttive delle public policies, è altresì vero che l’effettivo potere di attuazione delle stesse è, di fatto, nelle mani degli alti burocrati, i quali continuano a detenere (in Italia e in genere proprio nei “Pigs”) un’influenza ancora decisamente vincolante sui processi amministrativi. Ecco perché, a causa del lungo e meticoloso lavoro di contrattazione che richiedono, le riforme del pubblico impiego rappresentano da sempre una spada di Damocle per gli esecutivi italiani di ogni colore politico. E probabilmente, al di là degli slogan, sarà un arduo compito anche per il governo Renzi.
Antonio Folchetti