Un’altra gatta da pelare per Matteo Renzi. E neppure troppo inaspettata. Dopo la rinuncia di Gennaro Migliore e Gino Nicolais, alle primarie Campania trionfa Vincenzo De Luca. Ha fatto incetta di voti nel suo bastione elettorale, Salerno, ma non solo:78 mila preferenze (52%) contro le 66mila di Andrea Cozzolino (44%) e le 6mila del socialista Marco Di Lello(4,9%). E anche i dati sull’affluenza hanno contraddetto le previsioni catastrofiche dei giorni passati. Certo è che De Luca non era il candidato di Renzi. La coppia Lotti-Guerini infatti, nelle settimane passate, aveva tentato di convincere il “sindaco sceriffo” a non candidarsi promettendogli anche una poltrona ministeriale. Ma non c’è stato verso. Neppure un possibile candidato unitario come l’ex Sel Migliore è riuscito a far desistere De Luca. Ed ha avuto ragione.
Primarie Campania, De Luca un problema per Renzi
Va da sé che ora il dossier Campania si fa sempre più scottante per il premier. Sulle spalle di De Luca pesano infatti due sentenze difficilmente trascurabili: una condanna in appello ad un anno per abuso d’ufficio con annessa sentenza e contro-sentenza del Tar che lo ha momentaneamente reintegrato contro il parere della legge Severino e la più recente che lo dichiara, definitivamente, decaduto per incompatibilità ministeriale. Se De Luca riuscisse a spuntarla anche nell’election day di primavera, inoltre, sarebbe probabilmente sospeso dalla sua carica per una seconda volta. Sempre per effetto della Severino. La maggiore preoccupazione del Pd nazionale è proprio questa: vincere una battaglia inutile per poi perdere la guerra definitiva che potrebbe lasciare i democratici all’opposizione in Regione Campania. Tutta fantapolitica, certo. Ma dopo la vittoria alle primarie, Renzi e i suoi hanno poco da star allegri.
Primarie Campania, il dietro le quinte racconta un’altra storia
Eppure le dichiarazioni di facciata raccontano tutta un’altra storia. Già ieri sera il vicepresidente del Pd Lorenzo Guerini si era sentito al telefono con l’ex sindaco di Salerno per complimentarsi. Ma con il premier, per adesso, non c’è stato alcun colloquio. “Complimenti a @vincenzodeluca, ora cambiamo la Campania” cinguetta il fu candidato Migliore, quello che “Renzi è un liberista fuori tempo” per poi cambiare casacca al momento giusto. Dalla parte di Renzi, naturalmente. “Complimenti a @vincenzodeluca! Ora al lavoro, tutti insieme, per battere Caldoro!” si rallegra Pina Picierno, altra renziana di ferro, e altra aspirante alla carica di governatrice. Ma qualcuno a Roma l’ha fermata. Insomma, un tripudio di elogi. Una delle poche voci fuori dal coro è Valeria Fedeli, vicepresidente del Senato: “Se sai che una legge ti impedisce di assumere una carica pubblica, non candidarti è tua responsabilità, non solo delle regole”. Sintetica, puntigliosa, risolutiva.
La minoranza scalpita
Come se non bastasse, anche la minoranza scalpita. L’altro dossier aperto sul tavolo di Palazzo Chigi riguarda proprio i correntoni democratici. Dissidenti, civatiani, bersaniani, lettiani, critici, dialoganti. E stamani sono apparse due diverse interviste, sui principali quotidiani, ad esponenti di peso che aggiungono altra legna al focolare smorzato dal week end. “Il jobs act è incostituzionale e il combinato disposto tra ddl Boschi sul Senato e Italicum rompe l’equilibrio democratico” aveva attaccato venerdì l’ex segretario Bersani in un’intervista ad Avvenire. Stamane gli risponde Roberto Giachetti su la Stampa che accusa i membri della minoranza di “rilanciare continuamente” perché “partono dal principio che loro sono baciati dalla genialità divina, e noialtri dobbiamo solo ringraziarli e cambiare idea” e il sottosegretario alla Pa, Angelo Rughetti, sul Corriere della Sera, che avvisa i dissidenti: “La vecchia guardia – dice – deve accettare che le carte le dà chi ha vinto il congresso, c’è un segretario che ha il dovere e l’onere di portare avanti la sua linea politica, coinvolgendo anche la minoranza. La quale però deve riconoscere la leadership di Renzi”.